Il rapporto fra Covid-19 e qualità dell’aria
Giovedì 25 febbraio 2021 si è tenuto un seminario online sulla presentazione del terzo rapporto dello studio sugli effetti delle misure Covid-19 sulla qualità dell’aria nel bacino padano. La relazione si concentra sull’analisi della composizione chimica del PM10.
È noto che il materiale particolato aerodisperso è un insieme eterogeneo di sostanze di diversa natura, particelle solide e liquide sospese in aria ambiente. Gli inquinanti emessi dalle diverse sorgenti possono essere definiti primari, quando una volta emessi non subiscono variazioni, mentre sono secondari quando si producono a seguito di una serie di reazioni chimico-fisiche che avvengono direttamente in atmosfera. Il composto secondario si forma quindi interagendo con la luce solare, l’ossigeno, l’acqua e gli altri inquinanti primari presenti in aria ambiente. L’analisi chimica permette di caratterizzare tale particolato e di tentare di distinguere la parte primaria da quella secondaria.
Lo studio di tale frazione granulometrica è avvenuto attraverso l’analisi dei dati rilevati in quattro stazioni speciali presenti nel bacino padano nell’ambito del progetto PrepAIR (Torino, Milano Pascal, Schivenoglia -MN- e Bologna) a cui si è aggiunta la stazione di Aosta. L’obiettivo era verificare e consolidare le conclusioni preliminari dei report precedenti e ottenere, quindi, ulteriori elementi di conoscenza necessari ad impostare la prossima fase di pianificazione in materia di qualità dell’aria.
I primi due rapporti del progetto PrepAIR sugli effetti del lockdown sulla qualità dell’aria hanno evidenziato che la drastica riduzione dei determinanti ha causato la riduzione emissiva sia di NOX (che è arrivato a un massimo decremento settimanale del 40%) che di PM10 primario (massimo decremento settimanale 20%). È stato inoltre analizzato da un lato il decremento considerevole delle concentrazioni in aria dei gas (sia primari che secondari), derivante delle riduzioni emissive, dall’altro il comportamento della massa totale di PM10, caratterizzato da variazioni negative e positive discontinue durante il periodo di lockdown totale, con un andamento legato più alle condizioni meteorologiche.
L’analisi della composizione chimica è stata condotta confrontando due periodi: uno di pre lockdown (2 gennaio – 9 marzo) e uno di lockdown (10 marzo – 18 maggio) principalmente per gli anni 2019 e 2020.
Analizzando il periodo lockdown 2020 rispetto al 2019 i dati mostrano:
- nessuna evidente riduzione dei composti secondari in tutte le stazioni;
- diminuzione di carbonio elementare e rame in tutte le stazioni, elementi legati in buona parte alle emissioni da traffico la cui diminuzione è coerente con i limiti imposti alla mobilità;
- aumento del tracciante della biomassa legnosa (levoglucosano) nella maggioranza delle stazioni.
Nel complesso è evidente, sia nel 2019 che nel 2020, la variabilità di molte componenti legate al passaggio dalla stagione invernale a quella più calda. L’analisi del particolato secondario inorganico (Secondary Inorganic Aerosol – SIA), una delle componenti maggioritarie nel bilancio di massa del PM10 nel bacino padano, evidenzia una omogeneità nell’area interessata, con l’unica differenza per la stazione di Aosta che mostra contributi più bassi. La maggior parte del SIA misurato in tale sito risulta però di origine remota e principalmente dal bacino padano. Il SIA non è altro che la somma dei tre principali ioni inorganici del particolato: ione ammonio (NH4+), ione nitrato (NO3–) e ione solfato (SO42-), che a loro volta derivano dai loro precursori (ammoniaca – NH3 e ossidi di azoto – NOX e anidride solforosa – SO2) che sono risultati presenti durante il periodo di lockdown. L’ammoniaca non ha subito variazioni in quanto i provvedimenti legati alla pandemia non riguardavano l’ambito del settore agricolo-zootecnico, anzi, in diversi siti, la sua concentrazione ha mostrato valori più alti rispetto all’anno precedente; il biossido di azoto, nonostante il suo calo considerevole, è rimasto comunque disponibile
Questi inquinanti sono quindi risultati presenti in quantità sufficiente a sostenere la formazione di particolato secondario. Inoltre il levoglucosano, tracciante principale della sorgente biomassa legnosa, in tre delle cinque stazioni analizzate, ha mostrato un aumento durante il periodo di lockdown totale (nel sito rurale di Schivenoglia ha mostrato valori quasi triplicati rispetto allo stesso periodo nel 2019), probabilmente a causa dei provvedimenti di limitazione della circolazione e del conseguente confinamento domestico delle persone, oltre che alla diminuzione delle temperature in alcune aree.
I risultati dello studio mostrano come lo “spegnimento” o la riduzione delle emissioni di una parte degli inquinanti non sia sufficiente a determinare una variazione apprezzabile nella formazione del particolato secondario e confermano che gli interventi che possono essere intrapresi per una riduzione del particolato non solo devono essere coordinati a livello di bacino, ma devono riguardare tutte le attività che concorrono alla produzione di precursori (principalmente l’agricoltura e tutte le combustioni, quali traffico, biomassa legnosa, comparto industriale e servizi) agendo in maniera incisiva sulle emissioni.
“L’esperienza del lockdown – ha detto nella sua relazione di chiusura Marco Deserti di Regione Emilia-Romagna, coordinatore tematico nell’ambito del progetto dell’ambito Qualità dell’aria e valutazione delle emissioni – ha dimostrato che un fermo quasi totale dei trasporti e di moltissime attività commerciali ha determinato un crollo della concentrazione in aria di NOX, legato direttamente alle emissioni dei motori a combustione, mentre le PM10 son calate molto meno e vi sono stati addirittura superamenti del limite vigente. Questo fenomeno è attribuibile a due fattori: il riscaldamento domestico dovuto alla permanenza in casa di gran parte della popolazione ha portato ad un aumento delle emissioni in atmosfera di PM10 da combustione, soprattutto di biomasse; le attività agricole hanno continuato regolarmente immettendo in atmosfera ammoniaca in grado di produrre, assieme a ossidi di azoto e solfati, PM secondario che costituisce fino al 70% del PM presente in pianura padana.
Serve allora un piano che agisca a breve termine sulle misure emergenziali applicate durante i periodi di elevato inquinamento, e a lungo termine sulle misure strutturali applicate durante il periodo invernale.
Il programma deve agire nelle seguenti direzioni:
- aumentare la copertura territoriale delle misure;
- estendere la durata delle misure applicate;
- rafforzare il sistema dei controlli;
- adottare preventivamente i provvedimenti di limitazione, in modo da evitare l’occorrenza dei superamenti del VL giornaliero, ed aumentare la frequenza dei giorni di verifica”.