Infortunio di un lavoratore durante l’uso di mezzi di fortuna
E’ ancora il comportamento ritenuto abnorme, imprevedibile e eccezionale del lavoratore infortunato l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione, tipo di comportamento al quale spesso ricorre la difesa de datore di lavoro imputato per ritenere interrotto il nesso di causalità fra un evento lesivo e la sua condotta omissiva. Il caso riguarda l’infortunio di un lavoratore incaricato di accatastare in pile delle pedane in legno all’interno di un capannone industriale il quale, non avendo a disposizione un’apposita attrezzatura adeguata per effettuare tale operazione, quale una scala doppia munita di piattaforma di lavoro, è caduto dall’alto mentre si arrampicava su di un muretto per raggiungere la quota necessaria. Non è ritenuto imprevedibile, eccezionale e abnorme, ha infatti sostenuto la suprema Corte nella sentenza, e comunque tale da interrompere il nesso fra un evento infortunistico e la condotta colposa del datore di lavoro il fatto che un dipendente, privo delle dovute dotazioni antinfortunistiche, si sia avvalso di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi.
Il fatto, il ricorso in Cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto il socio accomandatario di un’azienda colpevole del reato di lesioni colpose subite da un dipendente dell’azienda stessa e lo ha condannato alla pena di € 309,00 di multa. All’imputato era stato contestato di non avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature adeguate per la realizzazione del compito allo stesso affidato, consistente nella sistemazione di pedane in legno da accatastarsi in pile all’interno di capannone industriale, e in particolare di non avergli fornito una scala doppia munita di una piattaforma di lavoro. Avverso la suddetta pronuncia ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato avanzando due motivazioni. Come prima delle stesse ha lamentata una violazione di legge e un vizio di motivazione nella parte in cui il giudice di appello aveva escluso che la condotta del lavoratore per la sua abnormità ed eccezionalità avesse interferito con la serie causale così da rappresentare la causa esclusiva dell’evento, laddove lo stesso aveva agito di propria iniziativa prevedendo ed accettando le conseguenze, e come seconda motivazione ha lamentato una violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis del codice penale stante l’occasionalità e non particolare offensività della condotta, nonché con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. Con riferimento al primo motivo del ricorso la Corte di Cassazione non ha individuata una carenza motivazionale da parte del giudice di appello che al contrario ha fornito invece una adeguata motivazione sull’asserita abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore, tale da interrompere la serie causale attivata dalla condotta omissiva del datore di lavoro. Secondo la stessa Corte, infatti, la sentenza impugnata non aveva presentato alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che la valutazione articolata dai giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, aveva reso ampio conto delle ragioni che avevano indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell’imputato. La colpa del lavoratore, ha in particolare evidenziato la suprema Corte, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime i soggetti stessi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. E’ abnorme, ha aggiunto la stessa suprema Corte soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante nel segmento di lavoro attribuitogli.
Non vi è dubbio, ha precisato ancora la Sez. IV e il giudice di appello ne aveva dato conto nella motivazione, che sebbene il lavoratore fosse adibito a sistemare le pedane all’interno del capannone accatastandole in pile che raggiungevano l’altezza di sei metri, allo stesso non era stata messa a disposizione una scala o trabattello e che l’infortunio occorso ha costituito una diretta conseguenza della suddetta omissione, in quanto per provvedere all’incarico assegnatogli l’operaio si era issato su un muro da cui era precipitato. Di conseguenza la stessa Corte suprema ha ritenuto del tutto congruo ed esente da vizi logici il ragionamento fatto dai giudici di merito i quali “nonhanno ritenuto imprevedibile né eccezionale il fatto che il dipendente, privo delle necessarie dotazioni antinfortunistiche (compreso il casco), si fosse avvalso di mezzi di fortuna per assolvere agli impegni lavorativi”.
Ugualmente infondato ha ritenuto la suprema Corte anche il secondo motivo di ricorso avendo il giudice di appello escluso, con motivazione integra e coerente sotto il profilo logico giuridico, che il fatto occorso potesse essere inquadrato nella particolare tenuità tenuto conto del grado della colpa, della specifica violazione della disciplina infortunistica, della rilevanza delle lesioni occorse alla persona offesa e della complessiva gravità del reato. Ugualmente giuste ha ritenute la Sez. IV le ragioni per cui il giudice di appello ha inteso escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendovi particolari meriti a favore del reo, e non concedere il beneficio della non menzione in relazione alla gravità del reato, al grado della colpa e al pericolo di recidiva criminosa.