Dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza aziendale
Se l’esistenza dei “piani di emergenza” nei luoghi di lavoro è nota per la visibilità di vari elementi legati alla gestione operativa del piano (estintori, segnaletica, mappe di orientamento in caso di emergenza, …), tuttavia sono spesso “meno note tutte le misure che vanno attuate in prima persona, i ruoli attesi, le indicazioni normative e quelle procedurali aziendali, in quanto spesso ritenute appannaggio solo di tecnici ‘esperti’”. E questa “scarsa conoscenza e fiducia rispetto alle finalità e ai contenuti del Piano di Emergenza”, dipende dall’atteggiamento nei confronti dei “due termini che definiscono questo documento, cioè: ‘Piano’, quindi la necessità di pianificare, ed ‘emergenza’, vale a dire qualcosa che non attiene la normalità, in cui invece il rischio dovrebbe essere nullo o ben controllato”. A ricordare alcune possibili criticità dei piani di emergenza, fornendo anche alcune indicazioni sulla nascita di questi piani, è un intervento raccolto nel volume “La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni” curato da Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Un volume che raccoglie i contributi della giornata di studio “Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni. Cosa bisogna fare per rendere efficace il soccorso in caso di emergenza”, che si è tenuta il 22 ottobre 2014 a Trieste.
“La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a cura di Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub, Tecnopolo dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura), si forniscono alcune utili informazioni sui piani di emergenza a partire da una ricerca, condotta da un gruppo di lavoro interdisciplinare e con riferimento al terremoto avvenuto in Emilia, che “ha voluto analizzare il ruolo e le modalità di attuazione del Piano di Emergenza aziendale nel caso di un evento calamitoso alla scala ambientale”, anche per valutare l’impatto e le possibilità di miglioramento nella pianificazione e nella gestione dell’emergenza. L’intervento si sofferma ad esempio sul passaggio, nelle aziende, dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza.
La relatrice ricorda, a questo proposito, che l’oggetto di una Valutazione dei Rischi (VdR) è descritto al Titolo I Sezione II del D.Lgs 81/2008 e richiede quindi la “conoscenza preventiva di:
– luoghi di lavoro (spazi, altezze, illuminazione, ecc);
– rischi specifici derivanti dai lavori svolti (rumore, vibrazioni, sostanze pericolose, ecc);
– scenari di rischio più ampi cui può essere soggetta l’attività (anche se spesso vengono limitati all’incendio);
– mansioni lavorative degli addetti e grado di esposizione ai rischi (tempi, modi, numero di persone, ecc);
– capacità degli addetti (fisiche, mentali, distribuzione nell’attività, formazione, ecc)”.
E una volta individuate le fonti di rischio e il loro impatto sull’organizzazione dell’attività, “il Datore di Lavoro deve assicurarne l’eliminazione o la riduzione, attraverso misure di prevenzione e di protezione adeguate:
– misure passive (sistemi di allarme, dispositivi di protezione collettiva, ecc);
– misure attive (estinzione del fuoco, DPI, ecc);
– misure procedurali (chi fa cosa, squadre di intervento, ecc)”.
Tutte queste analisi – continua l’intervento – “dovrebbero portare alla predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), così da organizzare in sicurezza le attività che vengono svolte normalmente, e di un Piano di Emergenza, utile quando un certo pericolo si manifesta e deve quindi essere affrontato dai lavoratori (fuoco, fuga di sostanze pericolose, sisma, ecc)”, ma purtroppo esiste una certa “confusione” fra quelli che sono gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico) e le indicazioni del D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”.
D.Lgs. 81/2008
Articolo 18 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente 1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: (…) h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; (…) m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato; (…) |
Infatti se l’assenza del Piano è “elencata tra le violazioni gravi previste all’Allegato I del D.Lgs 81/08, tuttavia la sua redazione viene generalmente ricondotta al punto 8.1 dell’allegato VIII del D.M. 10/03/1998, che però si occupa solo del rischio di incendio”.
D.M. 10 marzo 1998 – Allegato PIANIFICAZIONE DELLE PROCEDURE DA ATTUARE IN CASO DI INCENDIO
8.1 – GENERALITÀ In tutti i luoghi di lavoro dove ricorra l’obbligo di cui all’art. 5 del presente decreto, deve essere predisposto e tenuto aggiornato un Piano di Emergenza, che deve con tenere nei dettagli: a) le azioni che i lavoratori devono mettere in atto in caso di incendio; b) le procedure per l’evacuazione del luogo di lavoro che devono essere attuate dai lavoratori e dalle altre persone presenti; c) le disposizioni per chiedere l’intervento dei VVF e per fornire le necessarie informazioni al loro arrivo; d) specifiche misure per assistere le persone disabili. Il piano di emergenza deve identificare un adeguato numero di persone incaricate di sovrintendere e controllare l’attuazione delle procedure previste. |
Il risultato di questa confusione è, dunque, una divergenza di obiettivi “fra il Testo Unico, che raccomanda al Datore di Lavoro di tutelare il lavoratore da ‘tutti’ i rischi cui può essere esposto, e la pianificazione dell’emergenza, che rischia di limitarsi solo alla possibilità di incendio o di esplosione”.
Tuttavia il Piano di Emergenza aziendale “contiene e comprende il Piano antincendio, ma non sono la stessa cosa; l’adozione di procedure di intervento che non tengano conto di ciò, crea essenzialmente due fenomeni:
1) le indicazioni antincendio (che sono le più note) vengono adattate a tutti i rischi ambientali; da qui, ad esempio, l’assenza di azioni di protezione personale durante il sisma, a favore invece di un esodo immediato ed indifferenziato;
2) vengono ricavati tanti scenari e procedure quanti sono le possibili tipologie di rischio, sintetizzando diversi manuali e indicazioni, con fonti più o meno attendibili. Vista la loro complessità, raramente queste azioni sono effettivamente note ai lavoratori o vengono sperimentate nelle prove annuali di emergenza (spesso confuse con le prove di esodo antincendio…)”.
La relazione indica poi che non sempre il Piano di Emergenza aziendale è quindi univoco.
Nei luoghi di lavoro “sono generalmente presenti, alternativamente:
a) un unico Piano di Emergenza “antincendio”, soprattutto nelle aziende soggette al controllo dei Vigili del Fuoco (come le scuole);
b) due Piani distinti: uno destinato alla pratica antincendio e uno da allegare agli incartamenti previsti in azienda dal Testo Unico (e quasi sempre i due documenti non sono congruenti, quindi non è chiaro quale sia da adottare sul posto);
c) un unico Piano di Emergenza, che contiene anche le disposizioni antincendio e ogni altro rischio, con procedure tutte diverse e fin troppo dettagliate, di consistenza quasi enciclopedica”.
Inoltre – continua la relazione – dalla lettura congiunta del Testo Unico e del Decreto ministeriale del 1998 si evidenziano poi anche altre zone d’ombra, “ad esempio:
– come vanno individuati e valutati i rischi dovuti al contesto in cui si trova l’attività?
– Chi e come decide in azienda la ‘gravità’ di un’emergenza, sia essa in atto o solo annunciata (ad esempio l’arrivo di una forte perturbazione o di un tornado)?
– Che azioni vanno intraprese di conseguenza?
– Come si valuta la fine di una situazione di pericolo, soprattutto se questo coinvolge aspetti non totalmente sotto il controllo dell’attività?
– Come tenere conto nelle proprie procedure della presenza di utenti non formati”?
Si indica poi che nel caso di gravi calamità ambientali – come alluvioni, frane, terremoti, … – la gestione di un’emergenza “non può limitarsi a descrivere come mettere al sicuro ciò che non lo è, ma dovrebbe essere finalizzata anche ad evitare alle persone di subire ulteriori disagi dall’interruzione del proprio lavoro, di un servizio o di un sostegno sociale”. Aspetti particolarmente rilevanti nel caso di attività che non possono essere facilmente interrotte e messe in sicurezza, come “per i luoghi dove sono presenti sostanze pericolose (prodotte, trasportate, ecc) oppure dove le vie d’esodo non sono ordinarie (spazi confinati, gallerie, navi, grandi manifestazioni all’aperto, ecc) o degli ambiti dove sono radunati un pubblico o molti utenti (scuole, teatri, ospedali, centri commerciali, ecc)”.
Ricordiamo, in conclusione, che l’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi su vari altri aspetti: le emergenze ambientali, l’attivazione degli allarmi, i piani di esodo e l’educazione alla gestione dell’emergenza.
E segnaliamo, infine, che in materia di prevenzione incendi:
– il 18 novembre 2015 è entrato in vigore anche il Decreto del Ministero dell’Interno 3 agosto 2015 relativo all’approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139;
– il 25 agosto 2017 è entrato in vigore il Decreto del 7 agosto 2017 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività scolastiche, ai sensi dell’art. 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139”.