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13 Dic

Sulla validità della verifica della idoneità tecnico-professionale

Sembra un gioco di parole ma non lo è. È invece un suggerimento che la suprema Corte di Cassazione ha indirizzato al committente di un’opera edile in una recentissima sentenza della III Sezione penale. Per accertarsi della idoneità tecnico-professionale di un’impresa affidataria, ha suggerito la suprema Corte, non è sufficiente per il committente stesso fare affidamento su quanto dalla stessa dichiarato ma è necessario invece che lo stesso si faccia esibire la documentazione specificatamente indicata nell’Allegato XVII del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Nel caso in esame l’amministratore di una società che aveva commissionato dei lavori di costruzione di un fabbricato per civili abitazioni era stato condannato perché ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del D. Lgs n. 81/2008 allo stesso contestato per non avere verificato l’idoneità dell’ impresa affidataria e in particolare per non avere verificato il possesso del Durc, documento unico di regolarità contributiva, avendo l’impresa versato i contributi all’Inps solo per un certo periodo.

 

A seguito del ricorso presentato dall’imputato alla Corte di Cassazione nel quale lo stesso aveva contestata la formulazione del giudizio di colpevolezza nei suoi confronti sostenendo che era stato tratto in inganno dall’impresa affidataria dei lavori e che quindi non era consapevole del fatto descritto nell’imputazione, la suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso stesso mettendo in evidenza che il Giudice monocratico aveva deciso sugli esiti dell’attività investigativa svolta dalla Direzione Provinciale del Lavoro il cui personale ispettivo aveva accertato che l’impresa affidataria era una società di intermediazione finanziaria e che quindi era priva dei requisiti tecnici necessari per poter operare nel cantiere e aveva altresì appurato che l’impresa stessa, non avendo versato i contributi previdenziali per due lavoratori dipendenti trovati a lavorare in cantiere, era comunque sprovvista del Durc.

 

Legittimamente quindi il ricorrente, secondo la Corte di Cassazione, era stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del D. Lgs n. 81/2008, norma che sanziona appunto l’omessa verifica da parte del committente o del responsabile dei lavori della idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare.

Il caso, il ricorso per cassazione e le motivazioni

Il Tribunale ha condannato l’amministratore unico di una società alla pena di 2.500 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del D. Lgs n. 81/2008, a lui contestato per non avere verificato l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa affidataria dei lavori non verificando in particolare il possesso del Durc, avendo la predetta impresa effettuato i pagamenti dei contributi all’Inps solo per un certo periodo.

 

Avverso la sentenza del Tribunale ha proposto appello, tramite il suo difensore di fiducia, convertito in ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa ha contestata la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato, osservando che questi era stato tratto in inganno dall’impresa affidataria dei lavori, per cui, anche a titolo di colpa, non era configurabile la consapevolezza da parte dello stesso del fatto descritto nell’imputazione. Con il secondo motivo, la difesa si è lamentata sia della mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., sia del diniego delle attenuanti generiche, osservando che in tal senso il Tribunale ha valutato solo i precedenti penali dell’imputato.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

 

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione per manifesta infondatezza. Secondo la stessa, infatti, le censure sull’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, non adeguatamente specifiche, non erano risultate idonee a scalfire il percorso argomentativo seguito dal Tribunale rispetto alla sussistenza del reato contestato e alla sua ascrivibilità all’imputato.

 

Il Giudice monocratico, infatti, ha osservato la suprema Corte, aveva operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di cui al procedimento, richiamando gli esiti dell’attività investigativa svolta dalla Direzione Provinciale del Lavoro il cui personale ispettivo si era recato presso il cantiere dove erano in corso i lavori di costruzione di un fabbricato destinato a civile abitazione e all’interno del quale erano stati trovati a lavorare due operai dell’impresa affidataria. Nel corso delle verifiche di rito, veniva accertato che la società che gestiva l’impresa era una società di intermediazione finanziaria e quindi era priva dei requisiti tecnici necessari per poter operare nel cantiere, ed era stato appurato altresì che la società, non avendo versato i contributi previdenziali, era sprovvista del Durc.

 

L’imputato, quindi, quale legale rappresentante della ditta committente era stato legittimamente ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del D. Lgs n. 81/2008, norma che sanziona l’omessa verifica da parte del committente o del responsabile del lavori della idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, verifica che nel caso in esame era mancata, non avendo accertato l’imputato, nella sua veste di amministratore della società committente, che l’impresa affidataria dei lavori non aveva presentata la necessaria idoneità tecnico-professionale, non essendo in possesso del Durc a causa del mancato pagamento dei contributi previdenziali in favore dei propri dipendenti. Era rimasta del resto del tutto assertiva l’affermazione contenuta nel ricorso, secondo cui l’imputato sarebbe stato tratto in inganno dall’impresa affidataria dei lavori.

 

Analogamente inammissibile, in quanto generica, è stata ritenuta dalla suprema Corte la lamentela di cui alla seconda motivazione riguardante la mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. e il diniego delle attenuanti generiche. La stessa Corte ha ricordato in merito che in tema di attenuanti generiche il giudice esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. Il medesimo carattere di genericità, secondo la Sez. III, ha presentato anche la censura sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. Al riguardo, ha osservato, che, se è vero che, in sede di conclusioni, la difesa aveva invocato, in via subordinata, la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità, con conseguente proscioglimento dell’imputato, è tuttavia altrettanto vero che dalla lettura complessiva della motivazione si desume che vi sia stato un rigetto implicito da parte del Tribunale della sollecitazione difensiva.

 

In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle lamentele sollevate, l’impugnazione proposta nell’interesse dell’imputato è stata dichiarata inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento e il ricorrente è stato condannato al versamento della somma, determinata in via equitativa, di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende.