Sulle responsabilità per un infortunio a un lavoratore in stato di ebbrezza
Per l’infortunio mortale accaduto a un lavoratore dipendente di una azienda agricola che, mentre svolgeva la sua attività alla guida di un trattore agricolo, era rimasto schiacciato a seguito del ribaltamento del mezzo, perché privo della cintura di sicurezza, il datore di lavoro, condannato dal Tribunale con sentenza poi confermata dalla Corte di Appello, ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che il lavoratore, al momento dell’infortunio, era in stato di ebbrezza il che aveva contribuito sul suo comportamento imprudente. La suprema Corte ha rigettato il ricorso e nel farlo ha sostenuto che lo stato di ebbrezza, concausa nel determinismo di un infortunio accaduto a un lavoratore, certamente non rappresenta una condotta eccentrica e anomala tale da interrompere il nesso causale tra l’omissione addebitata al datore di lavoro e l’evento.
La difesa dell’imputato, nel presentare il ricorso, aveva richiamato il diritto in base al quale è stato ridisegnato il rapporto datore di lavoro/lavoratore, in punto di osservanza degli obblighi antinfortunistici, essendosi passato da un modello iperprotettivo a uno collaborativo, nel quale gli obblighi incombono anche sul lavoratore. La Corte di Cassazione ha sottolineato in merito che è certamente vero che, in materia di prevenzione antinfortunistica, si è passati da un modello “iperprotettivo“, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, nel rispetto della norma di riferimento (art. 20 D. Lgs. n. 81/2008), la quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e di agire con diligenza, prudenza e perizia.
Tuttavia, ha aggiunto la Sez. IV, pur dandosi atto che il principio di autoresponsabilità del lavoratore è stato individuato da tempo e a seguito dell’introduzione del D. Lgs n. 626/1994 e ora del D. Lgs. n. 81/2008, è da far presente che è stato comunque introdotto il concetto di “area di rischio” nell’ambito della quale il datore di lavoro è chiamato a effettuare la sua valutazione in via preventiva. Resta fermo quindi in ogni caso il principio secondo cui non vi può essere alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore. E’ all’interno di questa area di rischio, dunque, che va ribadito il principio per il quale la condotta del lavoratore si può ritenere abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo non tanto quando sia imprevedibile quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Il fatto, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, con la quale il legale rappresentante di una società, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e il concorso della vittima, era stato condannato per il reato di cui all’art. 589 comma 2 del codice penale ai danni di un lavoratore dipendente, ha rideterminato favorevolmente la pena, confermandola nel resto.
Oggetto del procedimento era stato un infortunio sul lavoro accaduto all’interno di un’azienda agricola nel quale aveva perso la vita un operaio dipendente. Al datore di lavoro era stato contestato di non avere adottato tutte le misure di prevenzione idonee a fare osservare ai lavoratori dipendenti l’obbligo di far uso della cintura di sicurezza alla guida dei trattori agricoli. Nell’occorso, secondo la ricostruzione rinvenibile nella sentenza impugnata, il lavoratore non aveva indossato il presidio di sicurezza e, a causa del ribaltamento del mezzo dallo stesso condotto, era rimasto schiacciato, dopo essere stato sbalzato fuori dalla cabina di guida.
Avverso la sentenza d’appello l’imputato ha proposto ricorso con proprio difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione con riferimento a due aspetti della decisione e cioè la ritenuta inosservanza di norme antinfortunistiche da parte sua e la incidenza del comportamento del lavoratore sul nesso causale tra la condotta omissiva contestata e l’evento. Quanto al primo profilo, la Corte territoriale, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto del diritto in base al quale è stato ridisegnato il rapporto datore di lavoro/lavoratore, in punto di osservanza degli obblighi antinfortunistici, passandosi da un modello iperprotettivo a uno collaborativo, nel quale gli obblighi incombono anche sul lavoratore.
Dalla istruttoria era emerso che l’attività di formazione e informazione dei lavoratori, predisposta dall’imputato era stata adeguata, che era invalsa la prassi di spiegare le caratteristiche dei mezzi utilizzati e che il rappresentante legale della società, a causa delle dimensioni dell’azienda dislocata su plurimi fondi agricoli, non poteva assicurare una presenza costante su ciascuno per tutta la giornata; lo stesso, inoltre, aveva sostenuto di avere provveduto a consegnare i dispositivi di sicurezza e a vigilare costantemente sull’osservanza delle prescrizioni, provvedendo a redarguire i lavoratori inosservanti e aveva sottoposto a revisione il DVR. Sul punto, la difesa aveva pure contestato il rilievo assegnato dai giudici territoriali a un precedente, analogo infortunio, con esito non mortale, rilevando che quella vittima, sentita in dibattimento, si era assunta la responsabilità dell’accaduto e che, a differenza del caso in esame, la stessa era stata perfettamente sobria.
Quanto al secondo profilo, la difesa ha censurato la valutazione del comportamento tenuto dalla vittima nell’occorso, non condividendo la considerazione secondo cui lo stato di ebbrezza del lavoratore avrebbe svolto solo un ruolo di concausa nel determinismo dell’evento. Secondo la difesa inoltre, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto quanto emerso nell’istruttoria riguardo al grado di alcolemia riscontrato nel sangue della vittima, né degli effetti che tale concentrazione può aver avuto sul suo comportamento, essendo emerso che costui non aveva mai dato segni di alterazione legati alla assunzione di sostanze e che, il giorno dell’infortunio, era stato accompagnato dallo stesso imputato sul luogo di lavoro. Il consulente della difesa, ancora, avrebbe chiarito che lo stato di alterazione aveva senz’altro contribuito a causare la disattenzione del dipendente, cosicché, secondo la prospettazione difensiva, una condizione di lucidità lo avrebbe certamente indotto a valutare di allacciare la cintura e evitare la manovra grossolana approntata o, quantomeno, a porvi immediato rimedio.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione per essere le motivazioni infondate. Secondo la stessa, infatti la Corte territoriale, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali pure indicate in sentenza, mediante un richiamo a quella appellata, aveva precisato che la vittima, prima dell’intervento in cui aveva perso la vita, si trovava alla guida di un trattore agricolo tra i filari di un vigneto, nell’espletamento di un’attività lavorativa assegnatagli, senza avere allacciato la cintura di sicurezza, presidio che avrebbe impedito la sua eiezione dall’abitacolo a seguito del ribaltamento del mezzo e, dunque, lo schiacciamento sotto la traversa superiore della cabina di guida, conseguenza che la protezione del relativo telaio avrebbe scongiurato.
L’unico addebito che i giudici territoriali avevano ritenuto comprovato dagli esiti dell’istruttoria e punto focale della questione devoluta, era stato quello che riguarda il mancato controllo del datore di lavoro dell’osservanza, da parte dei lavoratori, dell’obbligo di indossare i presidi di sicurezza in dotazione e, in particolare, di allacciare la cintura di sicurezza ogni qualvolta si trovavano alla guida del trattore agricolo, essendo emersa una contraria prassi aziendale che i dipendenti seguivano per sveltire l’attività, nonostante i richiami verbali loro rivolti dal datore di lavoro, il quale, agendo solo per tale via, non aveva dato corretta attuazione alle disposizioni contenute nel DVR.
La Corte di Appello, inoltre, sulla scorta di quanto riferito dal tecnico dello SPISAL, aveva evidenziata la circostanza che il DVR era rimasto generico sul punto specifico, anche dopo la sua revisione, non parlando dell’uso delle cinture di sicurezza, osservando altresì come, dopo il verificarsi di un precedente, analogo infortunio, sia pur non mortale, il datore di lavoro si fosse limitato a ammonire i dipendenti a stare più attenti, nella consapevolezza della diffusa noncuranza di costoro circa l’osservanza degli obblighi imposti e nella impossibilità di essere presente sul luogo in maniera continuativa a causa delle dimensioni dell’azienda che ne richiedevano la presenza anche presso altri fondi.
Quanto, poi, al comportamento della vittima e alla sua incidenza sul nesso causale la Corte territoriale, secondo la Sez. IV, aveva rilevato che il lavoratore infortunato, nell’occorso, stava eseguendo un compito assegnatogli, ponendo in essere la manovra che ha determinato lo scivolamento del mezzo nella scarpata e che lo stato di ebbrezza, concausa nel determinismo dell’evento, non aveva rappresentato una condotta eccentrica e anomala, tale da spezzare il nesso causale tra l’omissione addebitata al datore di lavoro e l’evento, certamente evitabile mediante l’uso della cintura di sicurezza.
In merito alla contestata omissione dell’obbligo di vigilare adeguatamente sull’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza da parte dei lavoratori, la Sezione IV ha evidenziato come quella territoriale si sia posta in linea di perfetta coerenza con i principi già affermati dalla Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro può assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi. Ciò che si era contestato all’imputato, dunque, era l’omessa previsione e predisposizione di un più efficace sistema di controllo, una volta che il precedente infortunio aveva disvelato l’assoluta inadeguatezza del mero richiamo verbale.
Si deve dunque affermare, ha così proseguito la Sez. IV, il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l’obbligo datoriale di vigilare sull’esatta osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori può dirsi assolto solo ove l’obbligato predisponga e dia attuazione a un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto anche delle prassi da costoro seguite, delle quali il datore di lavoro sia a conoscenza.
Quanto al tema dell’effetto interruttivo del comportamento del lavoratore sul decorso causale la suprema Corte ha sostenuto che è certamente vero che, in materia di prevenzione antinfortunistica, si è passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia. Resta tuttavia fermo in ogni caso il principio secondo cui “non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore”.
All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, ha così concluso la Corte di Cassazione, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Nella risposta approntata dalla Corte di Appello alle doglianze formulate dal ricorrente, quindi, la Corte di Cassazione non ha riscontrato alcun vizio motivazionale che avesse inficiato il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, hanno tenuto in debito conto i principi sopra richiamati. Nel caso in esame, infatti, il lavoratore aveva agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli e lo stato di alterazione alcolica, se pure ha contribuito a causare lo scivolamento del trattore, tuttavia non ha eliso il collegamento causale tra la mancata vigilanza da parte datoriale circa l’osservanza della regola cautelare specifica (allacciamento della cintura) e l’evento mortale verificatosi proprio a causa di tale inosservanza.
Al rigetto del ricorso è susseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.