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21 Giu

Gli obblighi dei lavoratori autonomi negli appalti interni

Di recente lo scrivente ha risposto a un quesito ( I quesiti sul decreto 81: gli adempimenti del datore di lavoro committente) riguardante l’applicazione o meno ai lavoratori autonomi del comma 2 del D. Lgs. n. 81/2008, che ha fissato degli obblighi di coordinamento e di cooperazione nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione a carico di quei datori di lavoro che affidano lavori, servizi o forniture da svolgere nell’ambito della propria azienda, considerato che gli stessi non vengono esplicitamente citati in esso e quali sanzioni altresì vanno applicate ai lavoratori autonomi inadempienti. Nel rispondere allo stesso quesito lo scrivente aveva messo in evidenza che nel testo di tale comma c’era da riscontrare una vera e propria omissione del legislatore e che una interpretazione logica portava a ritenere che le disposizioni in esso contenute fossero da applicare anche a tali lavoratori. Nella lettura di questa recentissima sentenza della Corte di Cassazione in commento è possibile ora riscontrare che quanto sostenuto dallo scrivente in quella occasione è in linea con le indicazioni fornite dai giudici di merito e di legittimità il che porta a rinnovare l’auspicio di un intervento di integrazione da parte del legislatore di tale comma e di conseguenza anche dell’art. 55 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 finalizzato a introdurre le sanzioni nei confronti degli inadempienti.

 

L’infortunio di cui alla sentenza in commento era accaduto a un lavoratore autonomo caduto dal tetto di un capannone durante alcuni lavori di manutenzione a causa dello sfondamento di alcune lastre di eternit e dello stesso era stato ritenuto responsabile dai giudici di merito il committente, condannato per lesioni colpose, ed erano stati contestati alla società gli illeciti di cui al D. Lgs. n. 231/2011. Le violazioni del D. Lgs. n. 81/2008 contestate all’imputato e poste alla base delle imputazioni a suo carico avevano riguardato, in particolare, la mancata fornitura al lavoratore autonomo di indicazioni sull’ambiente di lavoro (art. 26, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008), l’omessa predisposizione del DUVRI (art. 26, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 81/2008) e l’omessa verifica della capacità tecnico-professionale del lavoratore ad operare in quota (artt. 77, comma 5, e 90 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008).

 

Dei ricorsi avanzati poi dal committente e dalla società la Corte di Cassazione ha successivamente dichiarata l’inammissibilità.

 

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di appello ha confermata la declaratoria di responsabilità di un datore di lavoro committente di un’azienda e della società che gestiva la stessa in ordine, rispettivamente, al reato di cui all’art. 590, comma 3, cod. pen. e all’illecito di cui agli artt. 5 e 25-septies del D. Lgs. n. 231/2001, per avere, con violazione delle norme in materia di sicurezza, disposto che un lavoratore autonomo procedesse alle operazioni di manutenzione della copertura non calpestabile in cemento amianto di un capannone, cagionando colposamente in tal modo la sua precipitazione a terra a causa dello sfondamento del tetto, da cui derivavano lesioni personali gravi; colpa consistita nel non aver previamente fornito allo stesso precise indicazioni sull’ambiente di lavoro (art. 26, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008), nell’omessa predisposizione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (cd. DUVRI, art. 26, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 81/2008) e nell’omessa verifica della capacità tecnico-professionale del lavoratore ad operare in quota (artt. 77, comma 5, e 90 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008).

 

Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione sia l’imputato che il responsabile civile della società, a mezzo dei rispettivi difensori. I ricorsi proposti dagli stessi avevano lamentato violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui si individuava la colpa specifica del committente per non avere adempiuto all’obbligo di verifica dell’idoneità tecnico­ professionale del lavoratore autonomo.

 

Era stata sostenuta nei ricorsi, in particolare, l’erroneità del presupposto secondo cui l’incarico dato al lavoratore fosse quello di dover pulire tutta l’ampia superficie del tetto “non calpestabile in cemento amianto” mentre in realtà dovevano essere pulite solo alcune canaline in cemento di una piccola parte di copertura. Non era stata considerata inoltre abnorme dalla Corte territoriale la condotta del lavoratore, nonostante il medesimo si fosse portato sul tetto senza prima assicurarsi con le linee vita, che avrebbero potuto scongiurare il rischio di cadute dall’alto. Il lavoratore era ben consapevole, inoltre, dei rischi di caduta dal tetto, sicché il difetto di diligenza del committente non poteva essere desunto per il solo fatto dell’avvenuto infortunio. Dall’istruttoria inoltre era emerso che sarebbe stato sufficiente installare una linea vita provvisoria e che non era stato redatto il DUVRI perché era stato ritenuto che per il lavoro richiesto sarebbero stati sufficienti due giorni, visto che non c’era molto da pulire sul tetto. Il lavoratore infine, secondo il ricorrente, era un operaio esperto nel settore edile che avrebbe quindi dovuto sapere da solo come effettuare la pulizia delle canaline su parte del tetto.

 

Anche la società nel suo ricorso aveva lamentata una violazione di legge e un vizio di motivazione, con particolare riguardo alla ritenuta necessità del DUVRI, posto che l’intervento richiesto copriva una parte minima e precisamente quella ombreggiata dalla adiacente palazzina degli uffici e non andava effettuato su tutto il rivestimento in lastre di eternit ma solo sulle travi in cemento della larghezza di qualche decina di centimetri. Non era mai emersa infine la volontà da parte della società di risparmiare o di non mettere a disposizione tutti i DPI necessari.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

I ricorsi proposti sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione. La stessa ha rammentato che, nell’ambito della sicurezza sul lavoro, emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante” è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Nell’ambito della sicurezza sul lavoro il D. Lgs. n. 81 del 2008 consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.

 

La Corte suprema ha sottolineato che nel caso in esame i giudici di merito avevano accertato insindacabilmente che per eseguire il lavoro richiesto era stata programmata una durata di circa una settimana e ciò sulla base di quanto direttamente affermato dallo stesso lavoratore autonomo e confermato dalla circostanza che la prestazione avrebbe dovuto essere compiuta soltanto dallo stesso senza l’ausilio di collaboratori. Conseguentemente, erano risultate prive di pregio le doglianze con le quali i ricorrenti lamentavano che non fosse necessaria la predisposizione del DUVRI la cui assenza aveva certamente inciso sul verificarsi dell’evento lesivo, poiché esso avrebbe consentito di prendere in esame le caratteristiche proprie del tetto del capannone, la sua vetustà, la capacità di tenuta in caso di intervento del lavoratore e le modalità di installazione delle linee vita. Se reso edotto in maniera più dettagliata dei rischi conseguenti al suo accesso al tetto, si sarebbe potuto comportare in maniera diversa, astenendosi dalla pericolosa (ma non abnorme) manovra che lo aveva condotto su quel tetto senza essersi previamente assicurato dal rischio di caduta.

 

Quanto poi alle modalità di scelta del lavoratore autonomo, la Corte territoriale, secondo la Sez. IV, aveva accertato che l’imputato non aveva adeguatamente valutate le capacità tecnico-professionali della persona offesa, con particolare riguardo allo specifico addestramento richiesto per i lavori in quota, risultando insufficiente la verifica formale in ordine alla titolarità da parte sua di una ditta iscritta alla Camera di commercio, secondo una valutazione in linea con l’insegnamento della Corte di legittimità secondo cui, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico­ professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l’obbligo di verifica di cui all’art. 90, lett. a), del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo e ha citato come precedente la sentenza n. 28728 del 22/09/2020 della Sez. IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Le modalità della verifica della idoneità tecnico professionale”.

 

La eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore, infine, ha così concluso la Corte di Cassazione, non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento, poiché essa non, si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini, la complessiva condotta del lavoratore, per come è stata accertata in sede di merito, non è stata eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il ricorrente, quale committente, era chiamato a governare, adottando i comportamenti dianzi richiamati. La suprema Corte ha così dichiarati inammissibili i ricorsi e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione, in solido fra loro, delle spese del giudizio di legittimità sostenute dalla parte civile INAIL, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.