L’area di rischio di competenza del CSE e delle imprese
E’ un tema quello affrontato dalla Corte di Cassazione in questa sentenza trattato molto frequentemente e oggetto spesso di ricorsi sui quali la stessa Corte è chiamata a esprimersi. Riguarda in particolare la individuazione nei cantieri temporanei o mobili dell’area di rischio di competenza dei coordinatori per la sicurezza e di quella invece di competenza delle imprese esecutrici, tema fondamentale allorquando è necessario determinare le responsabilità nel caso che accada un infortunio sul lavoro negli stessi. Per determinare l’estensione della posizione di garanzia, ha così sostenuto la Corte di Cassazione, occorre prima inquadrare la natura del rischio verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un’attività riconducibile all’interferenza fra l’opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all’esclusiva attività della singola impresa.
Per distinguere l’area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e quella di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, ha aggiunto la suprema Corte, si può fare ricorso, secondo l’elaborazione giurisprudenziale, all’ambito di intervento del CSE come delineato dal piano di sicurezza e coordinamento, ai sensi del disposto dell’allegato XV, che ne determina le aree estendendole ai rischi connessi all’area di cantiere, ai rischi connessi all’organizzazione del cantiere e ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze. Sono esclusi, quindi, i rischi specifici ‘propri’ delle attività di impresa.
Nel caso in esame la suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dal titolare di un ditta individuale che aveva sostenuto nello stesso che il rischio che aveva portato all’evento infortunistico fosse interferenziale e non sottoposto al suo controllo e come tale nell’ambito di competenza di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione che il committente non aveva provveduto a nominare e quindi, di conseguenza, di competenza di quest’ultimo che aveva consentito l’accesso in cantiere di una seconda impresa. Il rischio che aveva portato all’infortunio del lavoratore, ha ancora evidenziato la Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso, si era realizzato non in relazione all’interazione fra le attività di due imprese presentì nel cantiere, ma solo per la mancata predisposizione di cautele idonee ad evitare la caduta di materiali da un ponteggio sotto il quale stavano operando i lavoratori.
L’evento infortunistico e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale il datore di lavoro di un impresa edile era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 590 comma 2 del codice penale, per avere cagionato a un lavoratore di una ditta appaltatrice in un cantiere nel quale si stavano effettuando dei lavori di ristrutturazione di una abitazione commissionati dal proprietario, lesioni personali per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione di norme antinfortunistiche e in particolare dell’art. 122 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, consentendo che le tavole di un ponteggio nello stesso utilizzato fossero posizionate a più di 20 cm. dall’immobile. Era stato quindi lasciato un varco dal quale era caduto da un’altezza di circa 7 metri uno dei pannelli utilizzati per la realizzazione del cornicione del tetto che aveva colpito il lavoratore che era intento, nel garage seminterrato, a pulire una griglia di scolo delle acque.
La Corte territoriale, rigettando l’appello proposto dal datore di lavoro, aveva ritenuto non solo che sussistesse la violazione dell’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008 essendo il ponteggio posto a distanza non regolamentare dal muro perimetrale dell’edificio, ma anche che non fossero state adottate misure prevenzionali volte ad evitare la caduta di gravi quali un accostamento al muro del tavolato o l’apposizione di una rete o l’installazione di un parasassi. Aveva constatato inoltre che il punto del cantiere sotto il ponteggio dove era avvenuto l’infortunio era un luogo di passaggio e che l’impresa affidataria aveva consentito che vi andassero gli operai per fare una ispezione della zona.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidando lo stesso a due motivi di impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente ha evidenziato che il pannello caduto aveva lo spessore di 3 centimetri sicché il rispetto della distanza di 20 centimetri di cui all’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008 fra il ponteggio e la costruzione non ne avrebbe impedita la caduta per cui aveva ritenuto sussistente un nesso causale fra l’irregolare montaggio del ponteggio e l’evento. L’imputato aveva sottolineato altresì che la Corte si era limitata a richiamare in modo aspecifico e generico la normativa tecnica, senza né approfondire le disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, né avvedersi che l’approntamento di reti o di parasassi era previsto solo per le zone di passaggio, mentre la zona in cui era avvenuto l’infortunio era zona delimitata, in cui il passaggio era interdetto a chiunque.
Con il secondo motivo il ricorrente si era lamentato per il fatto che con l’appello era stata messa in evidenza l’imprevedibilità dell’evento nonché l’assenza di una sua posizione di garanzia in ordine al rischio concretizzatosi con l’infortunio. Lo stesso, infatti, non rivestiva la qualifica di responsabile di cantiere, essendo unicamente direttore dei lavori affidati alla sua impresa, né aveva obblighi di valutazione del rischio interferenziale o di controllo sulle altre imprese operanti nel cantiere. L’impresa da cui dipendeva l’infortunato, inoltre, non era autorizzata a lavorare nel cantiere non avendo ancora presentato la documentazione di inizio lavori, né si era mai coordinata con l’altra impresa esecutrice. Malgrado tutto il committente, ha ancora sostenuto il ricorrente, pur avendo consentito l’ingresso in cantiere di una seconda impresa, in assenza tra l’altro della regolare procedura amministrativa, non aveva nominato il coordinatore per la sicurezza.
Secondo il ricorrente, inoltre, essendo due le imprese, il rischio delle lavorazioni, in quanto interferenziale, sarebbe dovuto rientrare, nella sfera di garanzia di un CSE, mai nominato, o, in alternativa in quella del committente, che, motu proprio, aveva consentito l’ingresso della seconda azienda. Sotto il profilo della prevedibilità dell’evento, inoltre, il comportamento tenuto dalla persona offesa doveva considerarsi abnorme e pertanto imprevedibile, avendo egli assunto un’iniziativa, del tutto estranea alle lavorazioni, della quale neppure era stato portato a conoscenza.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato estinto il reato per prescrizione ma ha proceduto comunque alla verifica della fondatezza delle doglianze agli effetti civili. La stessa ha preliminarmente analizzata la motivazione del ricorso con la quale si era assunto che il rischio concretizzatosi, da qualificarsi come rischio interferenziale, rientrasse astrattamente nella sfera di un’altra figura chiamata a garantire la sicurezza del lavoro nei cantieri e cioè il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, mai nominato nel caso in esame dal committente sul quale, di conseguenza, era da far ricadere la responsabilità dell’infortunio.
Per dare una risposta al quesito formulato con la censura presentata dal ricorrente la Corte di Cassazione ha ritenuto di richiamare l’evoluzione giurisprudenziale dalla stessa tratteggiata sulla figura del CSE. Il coordinatore per l’esecuzione nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici, ha così precisato la Sezione IV, ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di ‘alta vigilanza’, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS e ha citato come precedenti altre sentenze fra cui la sentenza n. 3288 del 23/01/2017 della Sezione IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La vigilanza del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione”.
L’alta vigilanza del CSE, ha precisato la suprema Corte, riguarda in altre parole la generale configurazione delle lavorazioni e non va confusa con quella operativa propria del datore di lavoro e delle figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto; tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato e solo laddove possa verificarsi un’interferenza fra le lavorazioni, cioè un contatto rischioso fra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nello stesso luogo di lavoro.
In merito al concetto di interferenza la Sezione IV ha chiarito che esso, ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall’art. 7 D. Lgs. n. 626/1994 (ora art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008), è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro, vale a dire il contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione, in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse. Come precedenti la suprema Corte ha citato nelle precedenti sentenze pubblicate e commentate in precedenti articoli:
- Sui criteri di individuazione dei rischi interferenziali
- Su una possibile interpretazione analogica dell’art. 26 del Decreto 81
- L’interferenza fra imprese che operano nello stesso luogo di lavoro
Per distinguere l’area di rischio governata dal CSE da quella di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, può farsi ricorso, secondo l’elaborazione giurisprudenziale, all’ambito di intervento del CSE come delineato, ai sensi del disposto dell’allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rischi connessi all’area di cantiere (punto 2.2.1.); rischi connessi all’organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze (punto 2.2.3.). Sono quindi esclusi i rischi specifici ‘propri’ dell’attività di impresa.
Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro. ha aggiunto la Sez. IV, è invece legato “alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine” generalmente mancante in chi opera in settori diversi. E’, dunque, un rischio connesso alle competenze proprie del datore di lavoro in relazione al settore di appartenenza. Si è detto anche che il rischio specifico del datore di lavoro “è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza” in qualche modo individuando ‘a contrario’ il contenuto del rischio specifico, rispetto a quello generico, che inerisce solo all’interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo (committente ed appaltatore o imprese diverse che svolgano la loro attività nel medesimo luogo, cantiere o sede aziendale).
Ciò che connota la specificità o la genericità del rischio, così individuandone anche il garante, ha sottolineato ancora la Sez. IV, è la sua derivazione dall’interazione delle lavorazioni nel cantiere (o comunque nello spazio lavorativo ove operi più di un’impresa). Laddove siffatta interazione non ci sia ed il rischio, pur elencato dal punto 2.2.3 dell’allegato XV, si realizzi all’interno della sfera di competenza del singolo datore di lavoro, inerendo alla sua attività, ai macchinari da lui usati, alle procedure seguite nella sua produzione, esso va qualificato come ‘rischio specifico’ estraneo all’ambito di intervento del CSE. Ecco, dunque, che “per determinare l’estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio, verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un’attività riconducibile all’interferenza fra l’opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all’esclusiva attività della singola impresa”.
Con riferimento al caso in esame la Sez. IV ha evidenziato che la Corte territoriale, e prima e più diffusamente il giudice di primo grado, avevano chiarito che l’infortunio era accaduto in un’area del cantiere predisposto dall’impresa esecutrice ed in particolare al di sotto di un ponteggio sovrastante l’ingresso del sottopiano, adibito a garage, al di sopra del quale i dipendenti dell’imputato stavano svolgendo un’opera di disarmo di pannelli. Si trattava, secondo entrambe le sentenze di merito, di una zona che, conducendo al sottopiano, era aperta al passaggio, potendosi accedere al garage solo passando al di sotto del ponteggio.
I giudici del merito di entrambi i gradi di giudizio, inoltre, ha sottolineato la suprema Corte, ricostruendo l’accaduto, avevano chiarito che il giorno dell’accaduto l’imputato aveva accompagnato il lavoratore infortunato sino al sottopiano e che, constatato che la griglia di scolo delle acque si era intasata, era risalito per chiedere aiuto per sbloccarla solo che, nel frattempo, il pannello maneggiato da un lavoratore che si trovava sul ponteggio è caduto infilandosi nell’intercapedine fra il tavolato ed il muro, così colpendo sulla testa l’infortunato.
In una situazione come quella descritta dunque, ha così concluso la Corte di Cassazione, il rischio realizzatosi non è derivato da opere che ‘interagiscono con il cantiere’ e che come tali non rientranti fra i rischi specifici del datore di lavoro, ma dalla deliberazione dell’imputato di raggiungere un’area collocata al di sotto di un ponteggio non protetta per cui la stessa Corte, pur annullando senza rinvio la sentenza impugnata agli affetti penali per estinzione del reato per prescrizione, ha rigettato il ricorso agli effetti civili.