Sull’obbligo della valutazione dei rischi rari e ignoti
I cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l’analisi e la previsione dei rischi sono fondamentalmente la propria esperienza, l’evoluzione della scienza-tecnica e la casistica verificabile nell’ambito di ogni singola lavorazione. Questo è quello che ha sostenuto la Corte di Cassazione in questa sentenza citando un principio già espresso dalle Sezioni Unite della stessa Corte nella sentenza n. 38343 del 24/04/2014 Espenhahn e altri relativa ai gravi fatti accaduti presso lo stabilimento della Thyssenkrupp di Torino, principio che è stato successivamente ribadito in un’altra sentenza della stessa Sezione IV la n. 20129 del 10/03/2016 Serafica e altro.
E’ chiaro, ha precisato la suprema Corte in questa sentenza, che alla luce di quanto sopra detto la previsione e la prevenzione dei rischi deve coprire qualsiasi fattore di pericolo evidenziato non solo dall’esperienza maturata dall’imprenditore o dall’analisi della casistica degli eventi verificatisi in azienda ma anche dall’evoluzione della scienza-tecnica per cui non basta a giustificare la mancata valutazione di un pericolo il fatto che lo stesso sia risultato ‘non noto’ e cioè non si sia mai presentato nello svolgimento delle attività all’interno dell’impresa, né che non rientri nell’esperienza diretta del datore di lavoro.
Per considerare ‘non noto’ un rischio, ha precisato la suprema Corte, occorre in definitiva che anche la scienza-tecnica non abbia potuto osservare l’evento che lo realizza per cui solo in questo caso viene meno l’obbligo di prevederlo da parte del datore di lavoro non potendo pretendere che lo stesso vada al di là del limite del sapere tecnico-scientifico. L’evento raro, invece, la cui realizzazione non sia comunque ignota all’esperienza ed alla conoscenza della scienza-tecnica, è pur sempre un evento possibile e prevedibile e come tale deve essere previsto e valutato. Sostanzialmente esso è un evento connotato da una bassa frequenza statistica che prima o poi può verificarsi.
Oggetto della mancata valutazione del rischio contestata agli imputati è stata nel caso in esame l’otturazione degli ugelli di una pressa utilizzata per lo stampaggio ad iniezione, anomalia che ha provocata l’esplosione del gas sviluppatosi nello stesso e la conseguente proiezione di materiale molto caldo che, investendo il lavoratore che era impegnato nel rimuoverla dall’estrusore, gli ha creato delle gravi ustioni al volto e alla mano destra. L’anomalia verificatasi sul macchinario benché rara non era comunque ignota in quanto si era già verificata in passato per cui la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso avanzato dagli imputati, ha ritenuta giusta la condanna da parte dei giudici di chi avrebbe dovuto valutare il rischio specifico e adottare delle misure di prevenzione.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato il Presidente del Consiglio di amministrazione di una società e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della stessa, in cooperazione colposa fra di loro, alla pena ritenuta di giustizia, per avere cagionato a un operaio addetto alla produzione con macchine di stampaggio ad iniezione, lesioni personali gravi consistite in ustioni di primo e secondo grado al volto ed alla mano destra da cui era derivata l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. L’operaio, in particolare, era rimasto infortunato mentre si accingeva a rimuovere, mediante mazzetta e scalpello, un grumo di materiale plastico formatosi nell’estrusore allorquando è stato investito da un getto di materiale plastico ad elevata temperatura, causato dalla pressione prodottasi per il riscaldamento del materiale residuato nell’apparecchiatura, rimasta inutilizzata dalle sedici del giorno precedente. L’esplosione era stata provocata proprio a cagione dell’occlusione sia del foro di ingresso del materiale che dell’ugello che aveva provocato, a seguito della permanenza del materiale all’interno della macchina, la degradazione del materiale e la formazione del gas.
La condotta colposa era stata rimproverata agli imputati sotto il profilo dell’imprudenza, della negligenza e dell’imperizia, nonché dell’inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e in particolare dell’art. 2087 del codice civile e dell’art. 29 comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008, colpa consistita nell’avere entrambi omesso di valutare il rischio cui erano esposti i lavoratori durante le operazioni di rimozione del materiale plastico dall’estrusore della pressa ad iniezione e, conseguentemente, nel non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione e protezione da attuare ovvero una procedura delle misure da realizzare per l’operazione.
I giudici di primo e secondo grado avevano ritenuto entrambi gli imputati responsabili per l’omessa valutazione del rischio di esplosione verificatosi per la mancata adozione di un procedimento da seguire nelle ipotesi di necessaria pulitura del macchinario per la formazione di un grumo di materiale al suo interno, nonché per la mancata previsione della ostruzione concomitante di entrambi gli ugelli, evento da considerarsi infrequente ma non straordinario od eccezionale, e quindi non tale da inserirsi come causa autonoma ed interruttiva della sequenza causale fra condotta ed evento. La responsabilità del RSPP inoltre era stata in particolare legata al fatto che egli, pur privo di poteri decisionali e di spesa che gli consentissero un intervento diretto per la rimozione delle situazioni di rischio, non aveva segnalato, nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la pericolosità della situazione e la necessità di adottare delle misure idonee a neutralizzarla o quantomeno non aveva dimostrato di averlo fatto.
Il ricorso per Cassazione e le motivazioni.
Avverso la sentenza della Corte di Appello gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del loro difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza. Come prima motivazione i ricorrenti hanno evidenziato che la Corte territoriale aveva trascurato di verificare se, in concreto ed ex ante, la chiusura contemporanea dell’ugello e del foro di ingresso del materiale fosse un fattore di rischio prevedibile, posto che un simile evento non si era mai verificato in azienda, benché l’operazione fosse giornaliera, così come emerso dalla testimonianza di un dipendente dell’azienda ed anche del responsabile della produzione al momento del fatto, secondo il quale, infatti, l’operazione era priva di ogni criticità, non presentando alcun problema esecutivo. Secondo gli imputati, quindi, in assenza di ogni forma di esperienza diretta e di prevedibilità, avuto riguardo alla migliore evoluzione della scienza tecnica in ordine alla casistica concretamente verificabile, non sussisteva l’obbligo di predisporre delle modalità di esecuzione dell’operazione diverse da quelle adottate e conseguentemente nessuna colpa poteva essere a loro addebitata.
Come seconda motivazione gli imputati hanno osservato che la Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione che l’oggettiva non prevedibilità dell’evento ex ante aveva eliminato in radice qualsiasi addebito per qualsivoglia genere di responsabilità e hanno aggiunto che l’evento verificatosi non poteva dirsi prevedibile, perché, come ben spiegato dal consulente della difesa, la duplice occlusione era stata riscontrata, in trent’anni di attività, solo in due altre occasioni. Come terza motivazione, inoltre, i ricorrenti hanno sostenuto che l’accertamento della prevedibilità deve avvenire a mezzo della cosiddetta prognosi postuma mentre entrambi i giudici di merito avevano dimostrato di essere caduti nell’errore di ritenere prevedibile un risultato, esagerandone la possibilità di verificazione, allorquando questo si sia prodotto finendo così per costruire la responsabilità penale sulla responsabilità oggettiva da posizione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
I ricorsi sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione. La stessa, confermando integralmente la decisione del primo giudice, ha escluso il carattere di straordinarietà dell’evento, occorso durante l’effettuazione di una manovra quotidianamente svolta, con modalità da lungo collaudate (utilizzo di uno scalpello e di un martello per colpire il grumo formatosi all’interno del macchinario, e contestuale azionamento meccanico di una vite posta all’interno della medesima tramoggia allo scopo dì favorirne il movimento), ritenendo che lo scoppio, dovuto allo sprigionamento violento ed improvviso del gas formatosi nella tramoggia della macchina ad iniezione, durante il fermo dell’apparecchiatura, rimasta comunque accesa dalle sedici all’una di notte, in quanto evenienza ‘possibile’ fosse comunque prevedibile e quindi evitabile.
La Corte territoriale, ha così proseguito la Sez. IV, ricalcando gli argomenti spesi dai ricorrenti sulla prevedibilità esperienziale del rischio realizzatosi in concreto è giunta a conclusioni antitetiche affermando che l’adempimento degli obblighi prevenzionistici in materia di sicurezza sul lavoro, avendo ad oggetto la tutela della salute dei lavoratori, impone al datore di lavoro l’adozione del massimo grado di diligenza e di perizia, così da annoverare “fra gli eventi prevedibili anche quelli meramente possibili”, come quello verificatosi, il cui prodursi poteva essere evitato con adeguata procedimentalizzazione delle modalità operative. Dunque, proprio il dato empirico dell’essersi l’anomalia già presentata, benché in sole due occasioni nei precedenti trent’anni, ha reso l’evento prevedibile come evento ‘possibile’, il che avrebbe dovuto condurre il garante ad individuarne il rischio, al fine di prevenire la sua realizzazione.
Diversamente impostando il problema, secondo la suprema Corte, “si finisce per affermare che solo l’evento con una qualche rilevanza statistica, impone al datore di lavoro di predisporre tutele per evitare il rischio, lasciando al di fuori degli obblighi di valutazione e prevenzione tutti i rischi che sebbene ‘non ignoti’ si realizzino con tale infrequenza da essere ritenuti appunto ‘rari’”. E’ necessario, invece, secondo la Cassazione, mutare prospettiva con il richiamo del fondamentale principio enunciato dalla Sezioni unite, e ribadito dalla stessa Sezione IV, secondo il quale “In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110901; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016 – dep. 16/05/2016, Serafica e altro, Rv. 26725301).
I cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l’analisi e la previsione dei rischi”, ha così proseguito la Sez. IV sono in primo luogo, la ‘propria esperienza’, l’evoluzione della scienza tecnica ed infine ‘la casistica’ verificabile nell’ambito della lavorazione considerata. E’ chiaro, quindi, che, alla luce di quando sopra detto, la previsione e prevenzione del rischio deve ‘coprire’ qualsiasi fattore di pericolo evidenziato nell’evoluzione della ‘scienza tecnica’ e non solo dall’esperienza che l’imprenditore sviluppi su una certa attività o su uno specifico macchinario, che egli abbia potuto direttamente osservare. “Non basta, cioè, a giustificare la mancata previsione del pericolo nel documento di valutazione dei rischi, né che la sua realizzazione non si sia mai presentata nello svolgimento dell’attività concreta all’interno dell’impresa, né che esso non rientri nell’esperienza indiretta del datore di lavoro ma per considerare ‘non noto’ il rischio occorre che anche la scienza tecnica non abbia potuto osservare l’evento che lo realizza. Solo in questo caso viene meno l’obbligo previsionale del datore di lavoro, cui non può richiedersi di oltrepassare il limite del sapere tecnico-scientifico, con un pronostico individuale”.
La conclusione quindi che deve trarsi da questa premessa, secondo la suprema Corte, è che l’evento ‘raro’, in quanto ‘non ignoto’, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto rischio specifico e concretamente valutabile. L’evento raro, infatti, non è l’evento impossibile ma anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica anche se il suo realizzarsi è connotato da una ‘bassa’ frequenza statistica. E ciò comporta, nondimeno, che nel caso in cui la lavorazione comporti un elevato numero di azioni ripetitive particolare cura debba assicurarsi alla previsione del concretizzarsi di rischi riguardanti il prodursi di un ‘evento raro’, la cui realizzazione non sia ignota all’esperienza ed alla conoscenza della scienza tecnica.
Nell’ipotesi in esame, ha così concluso la suprema Corte, dato per scontato che il blocco di entrambi gli ugelli non si fosse mai presentato in precedenza nell’utilizzo del macchinario, la Corte, tuttavia, sulla scorta di quanto riferito dal consulente, ha preso atto che un simile inconveniente si era già verificato almeno altre due volte su quel tipo di macchinario, ancorché in un lasso temporale molto dilatato. L’anomalia, pertanto, benché rara, e finanche molto rara, tenendo conto dello svolgimento quotidiano di quelle operazioni e della loro ripetitività, non era ignota e come tale doveva essere considerata nel documento di valutazione dei rischi, da parte del datore di lavoro, in quanto titolare della posizione di garanzia, anche attraverso la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione cui compete la conoscenza e la segnalazione di eventuali rischi non effettivamente previsti dal documento di valutazione, sempre emendabile ed integrabile, rientrando fra i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, con l’obbligo, una volta individuato il rischio, di predisporre le misure precauzionali e quelle procedimentali, se necessarie, ad evitare l’evento e quindi idonee ad assicurare la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori.
La Corte di Cassazione di conseguenza, a seguito del rigetto del ricorso, ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.