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02 Ago

Come controllare il microclima in ambienti termici caldi?

Spesso gli ambienti caldi, almeno con riferimento a quelli indoor, sono “caratterizzati dalla presenza di intense fonti di calore che determinano una combinazione di alte temperature dell’aria e alte temperature radianti”. E l’eventuale presenza “di alti tassi di umidità può rendere ancor più gravoso l’impegno fisico richiesto all’organismo del soggetto esposto”.

Come affrontare il rischio microclimatico negli ambienti vincolati caldi, dove “esistono vincoli ineludibili che forzano una situazione di squilibrio termico nella quale i guadagni energetici superano le perdite, e di conseguenza impediscono il raggiungimento di condizioni di comfort”?

A fornire alcune risposte e informazioni sulle metodologie di valutazione dello stress termico in ambienti caldi è il documento “ La valutazione del microclima. L’esposizione al caldo e al freddo. Quando è un fattore di discomfort. Quando è un fattore di rischio per la salute”, pubblicato nel 2018 dalla Direzione regionale Inail per la Campania.

 

Il documento, su cui si è già soffermato in passato il nostro giornale, offre anche alcune utili informazioni sia sulle misure dei parametri fisici sia sulle possibilità di controllare il microlima negli ambienti termici caldi.

Le misure negli ambienti outdoor

Il documento riporta diverse informazioni sulle misure dei parametri fisici, con particolare riferimento al metodo PHS (Predicted Heat Strain) per la valutazione dello stress termico da caldo. Si indica che l’esecuzione delle misure avviene “sulla base delle informazioni raccolte durante la fase di ricognizione” nei luoghi di lavoro.

 

Ci soffermiamo, in particolare, sugli ambienti outdoor.

 

Si indica che nel caso di ambienti outdoor “l’identificazione degli intervalli temporali nei quali eseguire una misura che sia realmente utilizzabile per verificare l’esistenza di un rischio termico assume un’importanza determinante”. E si raccomanda di “eseguire le misure in condizioni termiche associate ad una situazione di ‘massimo rischio ricorrente’. Tale situazione identifica le condizioni termo-igrometriche peggiori fra quelle che si ripetono regolarmente”.

 

Inoltre nel caso di esposizioni ad ambienti outdoor “le condizioni variano sostanzialmente nel corso della giornata. È pertanto essenziale disporre di misure (o di stime derivate da rilevazioni meteo eseguite da stazioni di pubblico servizio ARPA/aeroportuali …) delle quantità ambientali rilevanti. Di conseguenza il requisito indicato in precedenza relativamente alla situazione di massimo rischio ricorrente viene ritenuto soddisfatto quando la temperatura massima della giornata nella quale si esegue la misura è non inferiore alla media della temperatura massima del mese più caldo”.

 

Rimandando alla lettura integrale dell’articolo che riporta altre informazioni sulle misure dei parametri fisici, anche con riferimento agli ambienti indoor, veniamo al controllo del microclima.

 

Il controllo del microclima in ambienti caldi

Abbiamo già detto che gli ambienti caldi, almeno quelli indoor, sono “tipicamente caratterizzati dalla presenza di intense fonti di calore che determinano una combinazione di alte temperature dell’aria e alte temperature radianti”.

 

Per questi ambienti il controllo del microclima può, ad esempio, avvenire tramite le “seguenti azioni:

  • interposizione di schermi che evitino l’esposizione diretta del soggetto alla radiazione emessa dalle superfici calde, almeno durante le operazioni che non necessitano che tale esposizione avvenga. I pannelli devono essere totalmente riflettenti con parziale assorbimento della radiazione incidente e rivestiti di materiali metallici in modo da ridurne l’emissività. L’assenza (o la minor presenza) di corpi a temperature molto elevate nel campo di vista del soggetto produce una riduzione della temperatura media radiante. Naturalmente, quando possibili, interventi di coibentazione diretta della sorgente risultano ancor più efficaci, in quanto riducendone la temperatura superficiale abbassano lo scambio termico con il soggetto, che avviene sia per irraggiamento che per convezione.
  • estrazione di grandi volumi di aria dalle immediate vicinanze delle sorgenti di calore. L’alta temperatura dell’aria è infatti dovuta in buona parte alla circolazione di aria che è stata riscaldata dal contatto con la superficie calda. Se tale aria viene prontamente ed efficacemente aspirata e sostituita con aria più fresca, si ottiene una apprezzabile diminuzione della temperatura dell’aria in tutta l’area in prossimità della sorgente. Questa soluzione è perseguibile se la sorgente di calore non coincide con la postazione fissa del lavoratore (es. forno per fusione metalli) È bene fare attenzione a che la velocità dell’aria sulla postazione di lavoro non divenga eccessiva.
  • installazione di cabine climatizzate, ben isolate dall’ambiente. Questa soluzione è adottabile specialmente in condizioni particolari, come in vicinanza di forni, laminatoi, e simili attrezzature”.

 

Presupponendo poi che i lavoratori destinati ad attività con rischio da stress da caldo abbiano superato positivamente la visita di idoneità, “è sempre utile ricordare che esistono anche regole di semplice e generale applicazione che possono ridurre sensibilmente i rischi da ambienti severi caldi. Ad esempio, l’acclimatazione progressiva in occasione di esposizioni sistematiche ad alte temperature permette di adattare alcuni parametri fisiologici in modo tale da contenere i rischi; va tuttavia tenuto presente che anche una sola settimana di pausa lavorativa è sufficiente a far perdere tali capacità (ISO/WD 23451, sezione 8.4)”.

Inoltre anche “la somministrazione di abbondanti liquidi ai lavoratori, in modo tale da reintegrare, almeno in parte, le quantità perdute con la sudorazione (McArdle et al. 2014; Sawka et al. 1984), fa parte di queste regole. Si ricorda che in assenza di reintegro dei liquidi perduti nel corso dell’attività lavorativa la permanenza a determinate condizioni ambientali è meno della metà di quella consentita con libero accesso a liquidi (UNI EN ISO 7933) e che la somministrazione di acqua deve essere accompagnata da quella dei sali minerali che vengono persi con la sudorazione, in particolar modo sodio e potassio”.

 

Le misure a carattere procedurale

Possono inoltre essere adottate misure a carattere procedurale, “che si debbono integrare con i percorsi di informazione e formazione degli operatori (ISO/WD 23451, sezione 7)”.

 

Il documento ricorda che tali procedure, che è sempre opportuno siano scritte, “sono un insostituibile elemento di gestione di condizioni di esposizione:

  • tecnicamente non controllabili (es.: l’esposizione a condizioni estreme in luoghi all’aperto);
  • ad alto rischio potenziale, se non affrontate con la dovuta attenzione”.

E relativamente a questi due aspetti – si indica in conclusione – “risulta importante la formalizzazione di procedure per lavori all’aperto, in quota (es.: in edilizia) o isolati (es.: in agricoltura). In questi casi, nei quali l’attività non determina attivamente il microclima presente, e le lavorazioni vengono eseguite anche in pieno sole durante la stagione estiva, è importante definire le condizioni limite per l’effettuazione delle attività più a rischio”.

 

Questo può essere fatto “utilizzando i dati termo-igrometrici della zona, associati a dati indicativi per la temperatura radiante”. L’indicazione che si fornisce, in definitiva, è quella di “evitare esposizioni di durata prossima al tempo massimo calcolato dal software PHS per quelle condizioni ambientali, e comunque escludere l’attività quando il tempo massimo risulta inferiore a 30 minuti”.

 

Segnaliamo che nel documento sono riportati altri dettagli sulla gestione del microlima, con riferimento anche all’impatto dell’abbigliamento sullo strain generato da un’esposizione al caldo.