Sull’obbligo di controllare che l’appaltatore adotti le misure di sicurezza
Ha richiamato la Corte di Cassazione in questa sentenza il principio secondo il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per un infortunio, sia per la scelta dell’impresa che in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma lo stesso è comunque esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica che richiedono una specifica competenza tecnica, nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche oppure nell’uso di determinate macchine. Va precisato tuttavia che la titolarità della posizione di garanzia del committente non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante stesso, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio) e sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. E’ in applicazione del suddetto principio che la Corte di Cassazione ha annullata con rinvio una sentenza della Corte di Appello con la quale la stessa aveva riconosciuto la responsabilità di un committente in relazione all’infortunio occorso a un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice, per non aver effettuato un sopralluogo che avrebbe consentito di rilevare l’insufficienza delle misure di sicurezza apprestate, ritenendo carente la motivazione della sentenza impugnata per non avere spiegato le ragioni per le quali il committente avrebbe dovuto percepire “ictu oculi”, senza bisogno di specifiche competenze tecniche, tali deficienze.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la sentenza di primo grado che, previa concessione delle attenuanti generiche, aveva condannato alla pena di tre mesi di reclusione il datore di lavoro di un’impresa subappaltatrice e alla pena sospesa di un mese di reclusione il coordinatore per la sicurezza e il legale rappresentante dell’impresa affidataria, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione dal certificato penale, per le lesioni con prognosi superiore a 40 giorni cagionate con colpa a un lavoratore dipendente dell’impresa subappaltatrice il quale, nell’eseguire in cantiere dei lavori in quota di ricopertura dei pannelli, aveva perso l’equilibrio e si era appoggiato sul parapetto laterale, che si era sganciato dalla trave e lo aveva fatto precipitare da un’altezza di circa 6,60 m. La colpa del datore di lavoro dell’impresa subappaltatrice, in particolare, era consistita nella violazione dell’art. 111, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008, avendo lo stesso scelto una tipologia di protezione dei bordi inadeguata in base alla scheda tecnica dei parapetti ed in considerazione dell’assenza dei requisiti di resistenza. La colpa del coordinatore era consistita nella violazione dell’art. 91, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, in quanto il piano di sicurezza e coordinamento prevedeva una protezione inidonea e cioè un parapetto in cemento armato invece che in legno e la colpa del legale rappresentante dell’impresa affidataria dei lavori era consistita nella violazione dell’art. 97 del D. Lgs. n. 81/2008 per non aver verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione del piano di sicurezza e coordinamento. In primo grado, inoltre, il coordinatore e il legale rappresentante dell’impresa affidataria erano stati condannati al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, salva una provvisionale di 50.000 euro nei confronti della parte civile. Dalla sentenza di primo grado era risultato che il parapetto che aveva ceduto, determinando la caduta del lavoratore, era di un modello tale che, secondo il piano di sicurezza e la sua scheda tecnica, si presentava inidoneo per un supporto, come nel caso di specie, in cemento armato, essendo stato concepito piuttosto per supporti in legno. Era stata, inoltre, accertata l’inadeguatezza delle travi su cui era stato agganciato il parapetto, di profilo obliquo anziché perpendicolare, sicché il morsetto non era potuto aderire completamente.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
Avverso la sentenza della Corte di Appello i tre imputati hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo dei loro difensori. In particolare il datore di lavoro dell’impresa subappaltatrice e quindi del lavoratore infortunato ha sostenuto di avere fornito istruzioni e formazione allo stesso e inoltre che i parapetti erano stati montati da un lavoratore autonomo, esperto nel settore. Ha sostenuto altresì che si era procurato la relazione di conformità di un tecnico ingegnere, sicché, alla luce di tutti elementi emersi dalle prove evidenziate, non poteva configurarsi, a suo parere, una sua responsabilità, pena la violazione del principio dell’al di là del ragionevole dubbio. Il legale rappresentante dell’impresa affidataria 4. C.L. ha evidenziata la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 97, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008 ed agli artt. 40 e 43 cod.pen. e non si è spiegato come un eventuale suo sopralluogo in cantiere avrebbe potuto impedire l’evento, visto che erano state predisposte diverse cautele visibili (reti anti-caduta e parapetti, la cui conformità era stata attestata da un ingegnere incaricato), come previsto nel piano di sicurezza e coordinamento e che non disponeva di una qualifica adeguata per contraddire la valutazione di un ingegnere. Il coordinatore, dal canto suo, ha messo in evidenza che il fissaggio del parapetto non era di sua competenza essendo la stessa riservata dalla legge per le strutture in cemento armato esclusivamente ai tecnici laureati ed essendo stato incaricato un ingegnere dei calcoli relativi al fissaggio, all’ancoraggio e alla tenuta dei parapetti e ha precisato che, al contrario, il piano di sicurezza da lui redatto era risultato del tutto conforme alla legge, prevedendo, oltre ai parapetti, anche altri sistemi anticaduta (quali le reti di protezione), effettivamente presenti.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Preliminarmente la Corte di Cassazione ha osservato che il reato per il quale gli imputati sono stati tratti a giudizio erano prescritti per cui, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio, agli effetti penali. La stessa Corte si è limitata pertanto a valutare la fondatezza dei ricorsi del legale rappresentante dell’impresa affidataria e del coordinatore avendo ritenuto superfluo l’esame del ricorso del datore di lavoro della ditta subappaltatrice nei cui confronti non erano state adottate statuizioni civili Con riferimento in particolare al ricorso presentato dal legale rappresentante della impresa affidataria la suprema Corte ha osservato che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa – essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall’art. 3, comma ottavo, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 – sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, essendo esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine”. La titolarità della posizione di garanzia del committente, ha tuttavia precisato la Sez. IV, non comporta comunque, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. Nella sentenza impugnata, ha sottolineato la suprema Corte, era stato indicato che un tempestivo sopralluogo, da parte del committente, avrebbe certamente consentito di verificare l’assenza di punti di ancoraggio sicuri, e verosimilmente dubitare dell’adeguatezza dei parapetti installati, chiara quanto meno poiché il profilo obliquo della trave non garantiva la perfetta aderenza del morsetto, ma la motivazione della sentenza stessa, come denunciato dal ricorrente, è risultata carente, in quanto non ha chiarito quali sono stati gli elementi che avevano reso visibile e percepibile l’assenza delle condizioni di sicurezza, tenuto conto, della presenza di misure di protezione collettive, quali le reti di protezioni ed i parapetti. Secondo la Sez. IV, quindi, i giudici di merito non hanno difatti spiegato le ragioni per le quali il committente, nell’esercizio dei suoi poteri di controllo, avrebbe dovuto ritenere insufficienti le misure di sicurezza presenti e avrebbe dovuto percepire ictu oculi, senza bisogno di specifiche competenze tecniche, le deficienze dei parapetti montati.
Con riferimento poi al ricorso del coordinatore la suprema Corte ha precisato che non è previsto alcun esonero di responsabilità per il geometra, il quale accetti l’incarico di coordinatore per la sicurezza in cantieri che esigono competenze tecniche specifiche, di cui è eventualmente privo, e a ciò c’è da aggiungere che l’inserimento di un parapetto provvisorio in una struttura in cemento armato non si traduce in un’opera di progettazione, trattandosi piuttosto di un’operazione meramente esecutiva, da svolgere in ossequio alla scheda tecnica e della relative istruzioni. Ha ricordato, inoltre, la suprema Corte che il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento e c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS.
Di conseguenza, ha così proseguito la suprema Corte, a prescindere dalla verifica effettuata sul parapetto dall’ingegnere incaricato di farlo, il coordinatore per la sicurezza non avrebbe dovuto inserire né consentire l’inserimento nei piani elaborati di parapetti inadeguati rispetto alle strutture in cemento armato o, quanto meno, avrebbe dovuto espressamente segnalare, nel piano, gli accorgimenti necessari a superare l’incompatibilità tra i parapetti stessi. E’ risultata in definitiva corretta la conclusione alla quale era pervenuta la Corte di Appello. La Corte di Cassazione ha pertanto annullata nei confronti di tutti gli imputati, senza rinvio agli effetti penali, perché il reato è risultato estinto per prescrizione mentre agli effetti civili, ha rigettato il ricorso del coordinatore, ha annullata la sentenza a carico del legale rappresentante dell’impresa affidataria con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di provenienza.