Gestione delle emergenze: comunicazione e pianificazione
Per comprendere le criticità che si possono manifestare quando un’emergenza va oltre la singola attività, esula dal caso standard (generalmente gli incendi), coinvolge un territorio vasto e per valutare le possibilità di miglioramento nella pianificazione e nella gestione dell’emergenza, è stato condotto, con riferimento al terremoto avvenuto in Emilia nel 2012, una interessante ricerca. La ricerca condotta da un gruppo di lavoro interdisciplinare ha affrontato in particolare il mondo della scuola – in quanto attività lavorativa soggetta al D.Lgs. 81/2008, vincolata a obblighi precisi di prevenzione incendi e rappresentativa del contesto sociale – e ha permesso di fare utili riflessioni sulle criticità dei Piani di emergenza.
Ad esempio con riferimento ad aspetti importanti come le comunicazioni delle emergenze e le attività di esodo.
Per affrontare le criticità delle comunicazioni e per avere suggerimenti per realizzare Piani di Emergenza efficaci, possiamo fare riferimento all’intervento “La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a cura di Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub, Tecnopolo dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura), contenuto nel volume “La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni” curato da Giorgio Sclip (RSPP, Università degli Studi di Trieste) ed edito da EUT Edizioni Università di Trieste.
L’intervento, riguardo al tema della comunicazione, indica che la “scarsa chiarezza in merito alle modalità di attivazione degli allarmi può essere causa di confusione o di tensione tra gli addetti”.
La relatrice riporta diversi esempi del segnale di pericolo utilizzato in correlazione agli eventi tellurici nelle scuole e indica che “nella maggioranza delle attività, soprattutto se di grandi dimensioni, l’uso di un allarme generico (come una sirena) spesso non consente di bilanciare le informazioni fornite e richiede che siano gli addetti, ovviamente formati, a guidare gli utenti verso l’azione più idonea a fronteggiare il rischio specifico (indirizzarli in una direzione o verso una scala, aprire o chiudere porte, ecc)”.
E non basta avere un impianto fonico funzionante per assicurare misure efficaci:
– “a volte l’allarme è mal posizionato e le parole risultano incomprensibili o distorte;
– il messaggio deve tenere conto della sua comprensibilità da parte degli utenti presenti (bambini, anziani, ecc) ed essere necessariamente breve e ripetuto (anche in altre lingue se il luogo lo necessita);
– le indicazioni devono essere idonee alla crisi che si è manifestata, quindi prevedere un coordinamento diretto con il sistema di rilevazione del pericolo, si tratti di un rilevatore automatico di gas, di fumo o di fuoco oppure di un allarme dato dalla squadra emergenza o di un evento subito percepibile da tutti (terremoto, crollo, ecc)”.
E nel caso si utilizzino messaggi pre-registrati “vi è il forte rischio che le persone possano essere convogliate genericamente verso tutte le vie di esodo e non nella direzione che consente realmente di evitare il pericolo (ad esempio lontano dal fumo o dal fuoco in caso di incendio). Lo stesso accade quando il messaggio non tiene conto della possibilità di altri rischi (alluvione, terremoto, incendio, ecc) e prevede sempre e solo certe procedure (antincendio) oppure l’esodo indifferenziato, anche quando non sarebbero indicati”. In questo senso “l’uso di un sistema fonico con messaggi dati ‘in diretta’ da addetti specificamente formati, è generalmente considerato un metodo di allarme sonoro molto efficace, questo purché gli incaricati siano effettivamente in grado di indicare alle persone il comportamento più adatto da tenere”.
Si sottolinea poi che la procedura che individua come e chi allertare (o da cui attendere informazioni) è un “elemento strategico all’interno del Piano di Emergenza” e dovrebbe comprendere “sia l’analisi di rischi interni all’attività (ad esempio un incendio) sia di pericoli ambientali annunciati (l’arrivo di un tornado, il rischio di esondazione, ecc) o già avvenuti (ad esempio un terremoto). Oggi questo aspetto è in genere limitato all’indicazione dei numeri da contattare in caso di necessità, quindi esistono ampi margini di miglioramento”.
In particolare le scuole hanno il compito di studiare un proprio “protocollo di comunicazione in emergenza:
– con gli uffici dei dirigenti superiori;
– con gli enti cui potrebbe essere necessario chiedere aiuto/informazioni;
– con le famiglie”.
L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta ulteriori indicazioni nel dettaglio con varie indicazioni utili per la gestione delle emergenze nelle scuole e si sofferma sulle procedure di esodo. Ad esempio ricordando che nei Piani di Emergenza “vi è un uso diffuso della procedura di esodo quale elemento di garanzia della messa in sicurezza delle persone. Esistono invece molti rischi che possono e debbono essere affrontati attraverso la ‘difesa sul posto’ e non con l’evacuazione, sia perché il pericolo si trova all’esterno dell’edificio (ad esempio un’alluvione) sia perché la natura del pericolo da affrontare è assai minore dei rischi connessi all’esodo stesso. È tipicamente il caso degli ospedali, dove prima di trasferire i pazienti all’esterno deve essere garantita la possibilità di mettersi in sicurezza all’interno del fabbricato”.
Veniamo, infine, all’ultima parte dell’intervento in cui si indica che, “dato che le emergenze possibili sono tante e diversificate e che i luoghi influenzano inevitabilmente i margini di intervento”, la strategia di elaborazione del Piano di Emergenza dovrebbe essere “pragmatica nella valutazione degli eventi possibili e prevedibili, reggendosi soprattutto su un’organizzazione interna in cui tutti abbiano compiti e quindi fornendo a tutti (non solo agli addetti) le informazioni utili per gestire ciò che accade in caso di emergenza, ovviamente tenendo conto del ruolo di ciascuno”.
In questo senso gli elementi da includere nel Piano potrebbero essere quindi sintetizzati in:
1) “Prendere atto dei compiti principali nel sistema di gestione, definendo:
– a chi competono le responsabilità decisionali (cioè la catena di comando);
– le responsabilità su terzi e la possibilità di compensare l’assenza, anche temporanea, di alcuni ruoli;
2) Conoscere ciò che accade in caso di emergenza (anche e soprattutto in termini di comportamento atteso e di gestione dello stress) ed implementare le capacità di reazione delle persone. Il Piano di Emergenza dovrebbe attribuire a tutti un ruolo attivo, a ciascuno secondo le proprie competenze” (nell’intervento è riportato un breve esempio dei ruoli attivi nelle scuole);
3) “Analizzare il contesto, che comprende: l’edificio, le persone, l’ambiente, i rischi presenti nell’attività e quelli ambientali. La gestione delle emergenze, oltre agli elementi “interni” alle singole attività (personale, mansioni, attrezzature, ecc) non può prescindere dall’analisi dell’ambito in cui queste sono inserite”;
4) “Addestrare e formare alla sicurezza, cioè educare le persone ad essere: capaci di progettare, capaci di dominare emozioni, responsabili, attive, solidali e resilienti. La gestione delle emergenze richiede infatti molta attenzione al grado di partecipazione che ci si attende dagli utenti (siano essi insegnanti, operatori oppure studenti), indirizzando le attività formative verso quel livello di coinvolgimento”.
L’intervento si conclude proprio sull’insegnamento della gestione delle emergenze nella scuola, ricordando che “ciò che lo studente apprende a scuola (o che il lavoratore impara in azienda) ha un riflesso diretto sulle conoscenze che poi trasferirà alla propria famiglia e, nell’ambito della salute e sicurezza delle persone, ciò implica la diffusione di informazioni utili e di buone prassi anche a categorie di persone solitamente meno informate (anziani, familiari stranieri, ecc)”.
Segnaliamo, infine, che riguardo al tema della prevenzione incendi nel mondo nella scuola, il 25 agosto 2017 è entrato in vigore il recente Decreto del 7 agosto 2017 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività scolastiche, ai sensi dell’art. 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139”.