Sicurezza delle macchine: sulla responsabilità del proprietario
Una sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 42288 del 15 settembre 2017 sottolinea alcuni importanti aspetti relativi alle responsabilità in relazione alla sicurezza di una macchina. Riguardo alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, infatti il proprietario del macchinario utilizzato ha l’obbligo di accertarsi che quest’ultimo “sia sicuro e idoneo all’uso, rispondendo, in caso di omessa verifica, dei danni subiti dai lavoratori in conseguenza dei difetti dell’apparecchiatura, a prescindere dall’eventuale configurabilità di autonome, concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore”. E laddove sia fornita al lavoratore una macchina che, per vizi di costruzione, può costituire fonte di danno alle persone, senza avere specificamente accertato che il costruttore abbia sottoposto l’apparecchiatura a tutti i controlli rilevanti per verificarne la resistenza e l’idoneità all’uso, “non vale ad escludere la responsabilità del proprietario l’affidamento sull’osservanza, da parte del costruttore, delle regole della migliore tecnica”.
La sentenza n. 42288, che tratta un ricorso relativo ad un incidente con ribaltamento del cestello e caduta al suolo di un lavoratore, indica che F.C. e la r.l. “XXX” ricorrono per cassazione avverso una sentenza che aveva confermato la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen., “perché il F., in qualità di proprietario dell’attrezzatura interessata all’infortunio, in cooperazione con il produttore di quest’ultima, non obbligando i lavoratori ad indossare i dispositivi di sicurezza, cagionava lesioni personali giudicate guaribili in 90 giorni a L.A., il quale, mentre si trovava sopra una piattaforma di lavoro elevabile, non sufficientemente resistente e mancante dei requisiti atti a impedire la caduta e il capovolgimento dell’abitacolo, precipitava al suolo, a causa del ribaltamento del cestello della predetta piattaforma”. In particolare il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione partendo dal fatto che il Tribunale “ha fondato la declaratoria di responsabilità unicamente sulla circostanza relativa al mancato utilizzo delle cinture di sicurezza ma quest’ultimo è finalizzato esclusivamente ad evitare lo scavalcamento del cestello e quindi l’effettuazione di operazioni, da parte dei lavoratori, al di fuori della sua superficie. Dunque non vi è concretizzazione del rischio e l’omissione attribuita al F. non è in rapporto causale con la fuoriuscita del lavoratore da tale superficie, che si è verificata per un fatto imprevisto e imprevedibile, ossia il ribaltamento del cestello, che l’uso delle cinture non avrebbe scongiurato. Il ribaltamento del cestello, a sua volta, è stato determinato dal cedimento strutturale delle aste di livellamento e dunque da cause totalmente indipendenti dalla condotta dell’Imputato, che non possedeva le necessarie nozioni tecniche, che invece avrebbero dovuto essere in possesso del costruttore-venditore. A tali rilievi la Corte d’appello non ha fornito alcuna risposta. Ad ogni modo, il punto di ancoraggio delle cinture di sicurezza, che il costruttore aveva collocato sul corrimano superiore del parapetto anteriore del cestello, non avrebbe impedito la fuoriuscita dei lavoratori da quest’ultimo e dunque non avrebbe evitato l’evento. Anzi, il mancato uso delle cinture di sicurezza consenti al collega del L.A., catapultato anch’egli dal cestello, di saltare, planando al suolo, e quindi di non riportare alcuna lesione. D’altronde, anche in caso di utilizzo delle cinture di sicurezza, l’impatto al suolo sarebbe stato inevitabile”. E si indica che la piattaforma mobile era stata oggetto, “sia presso il costruttore che presso la ASL, di periodiche verifiche, che avevano sempre dato esito positivo, onde non è dato comprendere come il F. avrebbe potuto porsi il problema dell’effettuazione di eventuali modifiche al macchinario”. Né – parla sempre il ricorrente – è emerso “che vi siano stati degli urti e che essi siano stati causa o concausa della rottura dei tiranti, onde l’addebito relativo alle manovre effettuate da terra è privo di nesso eziologico con l’evento. Anzi, dopo la rottura del primo tirante vi è stata un’immediata manovra di abbassamento di circa 3-4 m, come dichiarato dalla stessa persona offesa. Anche questo è quindi un profilo di colpa privo di nesso di condizionamento rispetto all’evento verificatosi”.
E si indica infine che. al di là di altri motivi di ricorso, non si sarebbe tenuto conto che “la persona offesa è corresponsabile dell’evento infortunistico, atteso che il L.A., per primo, non aveva voluto indossare le cinture di sicurezza, come da lui stesso dichiarato in dibattimento”.
La Corte di Cassazione risponde che il primo motivo di ricorso è infondato. E ribadisce il principio secondo il quale “il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva ‘tenuta’, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l’accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155)”.
In ogni caso il “giudice a quo”, di cui si vuole impugnare la sentenza, richiamando anche alcuni punti della motivazione della sentenza di primo grado, “ha evidenziato che l’infortunio si è verificato a seguito del ribaltamento del cestello, conseguente al cedimento strutturale di entrambe le aste del sistema di livellamento. Se il L.A. avesse indossato le cinture di sicurezza, sarebbe rimasto saldamente legato all’interno del cestello e, anche qualora ne fosse uscito, data la modestissima lunghezza del cordino, non avrebbe subito alcun contraccolpo e soprattutto non sarebbe precipitato al suolo. Ne deriva che se l’imputato avesse preteso l’utilizzo della predetta cintura, ciò sarebbe stato pienamente sufficiente a scongiurare l’evento. Il giudice a quo ha dunque correttamente formulato il giudizio controfattuale, il quale, come è noto, consiste nell’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione, ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza, chiarendo, in modo argomentato, che l’utilizzo delle cinture sarebbe valso ad evitare l’evento. L’impianto giustificativo a sostegno del decisum è quindi puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità”.
E la decisione è d’altronde “conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il proprietario del macchinario utilizzato ha l’obbligo di accertarsi che quest’ultimo sia sicuro e idoneo all’uso, rispondendo, in caso di omessa verifica, dei danni subiti dai lavoratori in conseguenza dei difetti dell’apparecchiatura, a prescindere dall’eventuale configurabilità di autonome, concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore (Cass., Sez. 4, n 6280 dell’11-12-2007, Rv. 238959; Sez 4, n. 2630 del 23-11-2006, Rv. 236012). Qualora dunque venga posta a disposizione del lavoratore una macchina che, per vizi di costruzione, possa costituire fonte di danno alle persone, senza avere specificamente accertato che il costruttore abbia sottoposto l’apparecchiatura a tutti i controlli rilevanti per verificarne la resistenza e l’idoneità all’uso, non vale ad escludere la responsabilità del proprietario l’affidamento sull’osservanza, da parte del costruttore, delle regole della migliore tecnica (Cass., Sez. 4, n. 2382 del 10-11-2005, Rv. 232878; Sez. 4, n. 31467 del 3-7-2002, Rv. 222310)”.
In definitiva, continua la Cassazione – “la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto i macchinari concorre con quella dell’imprenditore che li ha messi in funzione (Sez. U., 23-11-1990, Toscaro, Rv. 186372). Nè la responsabilità viene meno qualora le autorità competenti al controllo abbiano ritenuto un macchinario, cui sono addetti lavoratori, conforme alla legge, in quanto il proprietario è autonomamente destinatario delle norme antinfortunistiche poste a tutela della sicurezza dei lavoratori e ha l’obbligo di osservarle indipendentemente dalle prescrizioni delle autorità di vigilanza (Cass., Sez. 4, n. 32128 del 6-5-2011, Rv. 251456; Sez. 4, n. 41985 del 29-4-2003, Rv. 227286)”.
La Cassazione indica poi che è infondato anche il rilievo inerente alla mancanza del requisito della c.d. “concretizzazione del rischio“.
Infatti nel caso in esame “non può sostenersi che l’inosservanza dell’art. 71, comma 4, n. 1, d. lgs. n. 71 del 2008, contestata all’imputato, non abbia determinato la concretizzazione del rischio che la predetta norma mirava a prevenire. Tale disposizione pone infatti a carico del garante l’obbligo di adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano installate e utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge invece che i lavoratori erano privi delle cinture di sicurezza, non presenti sull’attrezzatura ma tenute dal L.A. all’Interno del suo furgone. E abbiamo visto come la mancanza delle cinture abbia esplicato rilevanza eziologica sulla sequenza fattuale sfociata nell’infortunio”.
E infondata è anche la “doglianza” formulata con il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha infatti “evidenziato che non è vero che dalle risultanze processuali sia emerso un abbassamento immediato del cestello, allo scopo di riportare, senza indugio, i lavoratori a terra, non appena verificatasi la gravissima rottura strutturale del macchinario, che condusse poi all’infortunio. Anzi – precisa il giudice a quo – dalle testimonianze della persona offesa e dell’altro lavoratore presente nella circostanza è emerso che l’Imputato, irresponsabilmente sottovalutando la grave rottura del macchinario, lo fece scendere soltanto di 50/60 cm, esclusivamente al fine di consentire ai lavoratori di tinteggiare nella fascia sottostante. Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal giudice di merito”.
Al di là dell’infondatezza di altri aspetti del ricorso la Corte di Cassazione indica che è invece fondato l’ultimo motivo di ricorso.
Se infatti “l’imputazione a carico del F. è incentrata sull’inosservanza del dovere di esigere dai lavoratori che questi ultimi indossassero le cinture, è contraddittorio ritenere esente da ogni responsabilità, nella causazione del sinistro, il L.A., che non indossò le cinture, benché esse fossero nella sua disponibilità, in quanto da lui tenute nel furgone. Erroneamente pertanto la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione, peraltro formulata in termini apodittici, senza alcun supporto argomentativo, secondo cui nessuna corresponsabilità nell’evento può essere addebitata al L.A., Viceversa, sulla base dell’impianto argomentativo enucleabile dall’ apparato motivazionale della pronuncia impugnata, è ineludibile concludere per la ravvisabilità di un concorso di colpa da parte della persona offesa, del quale deve necessariamente tenersi conto nella quantificazione del risarcimento”.
E in conclusione dunque la Corte indica che la sentenza impugnata “va dunque annullata limitatamente all’incidenza del comportamento della persona offesa agli effetti risarcitori, con rinvio, per nuovo esame, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese tra le parti in relazione al presente giudizio di legittimità. Il ricorso va rigettato agli effetti penali”.