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28 Set

Sulla formazione e le anomalie di funzionamento delle attrezzature

Roma, 28 Set – Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 38528 del 02 agosto 2017, si sofferma su un infortunio mortale in un’acciaieria con particolare riferimento ai rischi connessi all’utilizzo delle attrezzature in caso di anomalie di funzionamento e la mancanza di formazione, informazione e addestramento necessari per i lavoratori.

Ricostruiamo la dinamica dell’infortunio attraverso quanto indicato nella sentenza della Cassazione.

Come emerge dalla sentenza impugnata, la notte dell’ 8/9 dicembre 2008 nello stabilimento dell’acciaieria XXX, una squadra di operai, “i cui componenti erano oltre al S.R., i colleghi B., G. ed M., era impegnata nelle operazioni di riattrezzaggio della linea di carico dell’impianto ‘Fas-Expander’ che era rimasto fermo dalle ore sei di venerdì 5 dicembre e che avrebbe dovuto riprendere la produzione alle ore sei di quel nove dicembre. Il predetto impianto si compone di una pista meccanizzata (via rulli) lungo cui avanzano i tubi semilavorati per essere espansi e portati al diametro ed allo spessore desiderati attraverso un processo di laminazione a caldo realizzato mediante fornetti di preriscaldo posti lungo la linea stessa, dimensionati per lavorare esclusivamente tubi di determinate dimensioni. Per evitare che possano arrivare alla bocca dei fornetti tubi di diametro maggiore di quello consentito, prima dell’inizio dei fornetti stessi, ma sempre lungo la linea, è collocato un elemento ad anello, detto ‘imbuto’ che ne impedisce l’accesso. L’imbuto è incernierato in una struttura metallica che ne consente la rotazione tramite un sistema pneumatico ad azoto ed ha due posizioni di stabilità: la prima quando è abbassato, la seconda quando è completamente alzato. In quest’ultima posizione è prevista un’ulteriore possibilità di bloccaggio mediante l’inserimento di uno ‘spinotto di stazionamento’ o perno, dotato di una coppiglia di sicurezza. I movimenti dell’imbuto sono comandati da un’elettrovalvola, comandata via computer dalla cabina di controllo (il cd. pulpito) impostato comunque automaticamente su un programma che assicura il sincrono movimento dei fornetti e dell’imbuto o, in alternativa, mediante un pannello touchscreen che consente di mettere in movimento l’imbuto indipendentemente dai fornetti e che è monitorizzato da due sensori. Sull’elettrovalvola è però possibile agire anche manualmente, rendendo inefficace il comando elettrico”.

Nel caso di cui si è occupata la sentenza la squadra di operai “provvide a dare il comando di ‘abbassa’ all’imbuto che rimase inseguito a causa della presenza dello spinotto che si trovava inserito nel suo alloggiamento. Come riferito dalla Corte di merito il tentativo di sfilare il perno non ebbe successo e da questo momento i quattro (componenti la squadra), posero in essere una serie di iniziative estemporanee tutte rivolte a rimuovere quell’ostacolo. Dapprima tentarono di disincastrare lo spinotto battendo su di esso con una mazza ed usarono a mo’ di controbattente sull’estremità dello spinotto stesso un tubo cavo percosso con un martello; questo espediente provocò in effetti la fuoriuscita dello spinotto che fu però sostituito nel suo alloggiamento proprio da quel tubo. In loco rimasero allora, dopo un altrettanto inutile tentativo di sollevare l’imbuto a mezzo di una piccola gru a bandiera, S.R. e B. (mentre M. era tornato sul pulpito dal quale sarebbero poi stati ripetuti inutili tentativi di azionare l’imbuto attraverso il pannello di comando) i quali decisero ricorrere alla fiamma ossidrica per tagliare il tubo che impediva la discesa dell’attrezzo. Quell’estremo tentativo venne in effetti sperimentato e, ad un certo punto, S.R. entrò nella linea dei rulli venendo a porsi proprio sotto l’imbuto; questo improvvisamente precipitò dalla posizione ‘alto’ che aveva sino a quel momento mantenuta alla posizione di ‘basso’, travolgendo così l’operaio che trovò morte istantanea”.

Gli imputati sono stati condannati, con sentenza impugnata e riduzione della pena in appello, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare:

– “perché non assicuravano ai lavoratori la giusta formazione e informazione relativa all’utilizzo delle attrezzature messe a loro disposizione;

– nell’utilizzo dell’imbuto presente sull’impianto Fas-Expander citato non venivano presi in considerazione i rischi connessi all’utilizzo dello stesso soprattutto in caso di anomalie del funzionamento dell’impianto e con riferimento alla necessità di impedire la caduta accidentale dell’imbuto sulla linea;

– non assicuravano ai lavoratori adeguato e specifico addestramento sull’utilizzo di attrezzature che richiedevano conoscenze e responsabilità particolari tali da permettere un utilizzo sicuro delle stesse;

– non disponevano che i dipendenti partecipassero a un addestramento specifico e relativo alle necessarie manovre di attrezzaggio e disattrezzaggio della linea di carico dell’impianto Fas-Expander,

– nel documento di valutazione dei rischi non prendevano in considerazione in modo specifico e puntuale la parte dell’impianto denominata imbuto presente nella zona di carico del Fas – Expander;

– non fornivano istruzioni specifiche sui provvedimenti da adottare nel caso di anomalie, compresa l’ipotesi del perno lasciato accidentalmente inserito prima di procedere ad avviare l’impianto”.

Ci soffermiamo sui primi due motivi del ricorso in Cassazione.

Con un primo motivo si denuncia “violazione di legge e vizio motivazionale in merito alla sussistenza della colpa e del nesso causale fra l’evento e le omissioni contestate agli imputati. L’incidente si sarebbe infatti verificato per la condotta irrazionale della squadra di riattrezzaggio, in primis del capo squadra B. che aveva dato luogo ad un evento del tutto imprevedibile. Di contro il sistema di sicurezza ed il documento di valutazione del rischio erano sufficienti ed idonei ad evitare l’incidente; le regole cautelari in vigore erano conosciute ed in particolare vigeva l’assoluto divieto di accedere alle macchine durante il loro normale funzionamento in automatico (C appello no); l’imbuto doveva essere manovrato solo a distanza; in caso di difficoltà era necessario consultare il proprio superiore diretto (il caposquadra) e comunque il R.G. era sempre intervenuto. Stante la palese violazione delle regole da parte dei dipendenti, nulla avrebbero potuto fare il datore di lavoro ed i dirigenti”.

Con un secondo motivo si deduce “vizio motivazionale sull’inosservanza delle regole cautelari e sulla causalità della colpa; l’evento non era né prevenibile né prevedibile”.

Tuttavia, indica la Cassazione, la sentenza impugnata si sviluppa “secondo linee logiche e giuridiche pienamente coerenti ed esenti dalle prospettate censure”.

E va in primo luogo osservato, in linea generale, come i ricorrenti sembrino trascurare che l’evento “si è realizzato se non durante una fase propria della lavorazione, comunque nell’ambito della normale attività lavorativa degli operai coinvolti nell’episodio che erano intenti al ripristino della linea di lavorazione dopo una pausa. Ciò comporta in primo luogo che debba ritenersi come la sentenza impugnata abbia fatto (con riferimento alla dedotta interruzione del nesso di causalità) buon governo del principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperiziaper cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n.38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421), rimarcando come non fosse emersa alcuna estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle mansioni di fatto commessegli”.

E dalla lettura della sentenza impugnata “emerge che era stata omessa la valutazione de rischio specifico connesso all’uso dello spinotto. Inoltre la vittima non era stata in alcun modo edotta dei rischi relativi. L’indicato duplice tratto colposo della condotta è stato ritenuto idoneo a giustificare l’affermazione di responsabilità”.

In questo senso, continua la Cassazione, al datore di lavoro “incombeva l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e, naturalmente, di adottare le procedure di sicurezza appropriate”.

E riguardo in particolare alla valutazione dei rischi ed il relativo documento si indica che questi “costituiscono efficaci strumenti al servizio della sicurezza, consentendo la messa a fuoco della situazione pericolose e, conseguentemente, l’adozione delle adeguate misure di sicurezza. Peraltro le valutazioni e prescrizioni contenute nel detto documento non limitano per nulla la responsabilità dei garanti che, nella maggior parte dei casi, trovano il loro fondamento prescrittivo nella articolata disciplina di settore. Le omissioni o carenze del documento non possono per ciò solo far venire meno gli ulteriori obblighi datoriali previsti dalla legge”.

La constatazione del rischio “impone comunque, infatti, ai garanti medesimi, nell’ambito delle loro rispettive competenze, di adottare le misure appropriate che, giova ripeterlo, riguardavano nel caso di specie la spiegazione dei rischi e l’adozione di procedure adeguate. Tali apprestamenti sono invece mancati: il rischio era noto (o comunque prevedibile), ma era governato con prassi inappropriata”.

E la Corte di Cassazione precisa (cfr. da ultimo, Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253 ), in tema di prevenzione degli infortuni, che il datore di lavoro “ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. La gravata sentenza ha evidenziato tra l’altro in particolare come nel pur complesso e ponderoso Documento di Valutazione dei Rischi vigente nello stabilimento all’epoca in cui l’incidente accadde non vi fosse una previsione specifica relativa alle fasi di disattrezzaggio e riattrezzaggio della linea considerate nella loro autonomia funzionale e operativa”.

Tra l’altro la Corte territoriale in proposito ha sottolineato come la fase di riattrezzaggio “avesse specifiche peculiarità anche con riferimento ai rischi per la sicurezza degli addetti se non altro derivanti dalla interferenza dell’operare di squadre diverse (facenti capo anche a differenti datori di lavoro come accadeva per gli addetti alle pulizie industriali) che erano impegnate, in successione, in compiti differenti e necessariamente necessitanti di coordinazione. I rischi specifici di tale fase lavorativa non si esaurivano dunque in quelli ordinariamente scaturenti dalla possibile interferenza tra la presenza umana e le parti dell’impianto ma scaturivano anche dalla stessa necessaria interdipendenza delle singole operazioni commesse all’una e all’altra squadra e a eventuali, possibili e ragionevolmente prevedibili manchevolezze nel coordinamento tra le stesse”. E la prova che il problema era avvertito si rinviene del resto “nella scrupolosa procedimentalizzazione delle operazioni di sezionamento e di ripristino delle utenze elettriche, meccaniche e oleodinamiche a mezzo del sistema dei ‘cartellini’ che è stato descritto dai testi” e che si trova anche codificato nei documenti interni dell’azienda. Ma in queste pur meticolose procedure codificate “non si trova invece cenno agli spinotti di sicurezza che, come si è detto, si trovavano in più punti della linea in maniera evidentemente funzionale ad impedire accidentali movimenti di talune parti meccaniche durante operazioni che implicassero la presenza di persone nel raggio di azione delle stesse”.

E va rilevato – come evidenziato dalla Corte territoriale – che “nel Documento di Valutazione dei Rischi, in relazione alle varie fasi lavorative, è prevista anche la possibilità del verificarsi di guasti dell’impianto o di singole parti dello stesso che, infatti, sono visti essi stesi come sorgente di rischi particolari e specifici con la conseguenza che si prevedono e disciplinano le procedure per la risoluzione di detti inconvenienti in modo compatibile con la sicurezza degli addetti. Altrettanto invece non è con riferimento proprio alla possibilità, ragionevolmente prevedibile in ragione della mancata regolamentazione dell’utilizzo dello spinotto, che l’imbuto, comandato da remoto, non scendesse sulla linea perché meccanicamente impedito”.

Si ricorda poi che la sentenza non è neppure censurabile “a proposito della evitabilità e prevedibilità dell’evento, avendo peraltro posto in rilievo come il problema riscontrato la notte in cui ebbe a verificarsi l’episodio non rappresentasse un unicum mai verificatosi prima nella conduzione dell’impianto”. In particolare la sentenza impugnata ha affermato poi che la presenza dello spinotto “fosse una misura prevenzionale, dovendosi stigmatizzare quindi che il suo inserimento non fosse stato nell’azienda previsto e regolamentato per tutte quelle operazioni che comunque prevedevano la presenza umana nel raggio di azione dell’imbuto”. E l’inserimento di quegli spinotti, quindi, e, in particolare, di quello presente sull’imbuto era “evenienza non certamente straordinaria ma, tutto sommato, riscontrata più di una volta dagli addetti al riattrezzaggio”.

In definitiva, e in conseguenza di tali ragionamenti, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi.

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