L’obbligo del POS per le imprese di fornitura del calcestruzzo
Finalmente, viene da dire nel leggere questa sentenza della Corte di Cassazione perché la stessa nel decidere in merito a un ricorso presentato per un infortunio per folgorazione di un lavoratore avvenuto in un cantiere edile, nel quale erano in corso delle operazioni di getto del calcestruzzo mediante un autobetonpompa, a causa del contatto di una parte dell’attrezzatura stessa con una linea elettrica che attraversava il cantiere medesimo, ha avuto modo di esprimersi in merito all’obbligo o meno della redazione del piano operativo di sicurezza (POS) da parte delle imprese che provvedono alla fornitura del calcestruzzo.
Finalmente perché è un argomento questo sempre al centro di discussioni fra gli operatori di sicurezza, molto spesso sollevate, a dire il vero, strumentalmente da chi sostiene l’insussistenza di tale obbligo e sul quale si è già espresso anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con una nota del 10/2/2016, indirizzata alle Direzioni Interregionali e Territoriali del Lavoro, con la quale lo stesso ha fornito appunto dei chiarimenti concernenti la redazione del POS da parte di aziende fornitrici di calcestruzzo nei cantieri temporanei o mobili.
Sono assoggettate agli obblighi delle imprese esecutrici, ha sostenuto la suprema Corte in questa sentenza, e quindi a quello di redigere il POS, anche le imprese che effettuano la fornitura e posa in opera di materiali nei cantieri edili quali sono la fornitura e il getto di calcestruzzo con l’autobetonpompa. Mettere a disposizione dell’impresa richiedente la fornitura, ha inoltre aggiunto la Corte di Cassazione, anche dei lavoratori, come è avvenuto nel caso in esame, con l’incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile comporta un contributo tecnico ed esecutivo da parte del personale della ditta fornitrice certamente eccedente la fornitura dei materiali e delle attrezzature.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
La Corte di Appello ha riformato, unicamente quoad poenam, la sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei confronti del datore di lavoro di un’impresa esecutrice operante in un cantiere edile, nonché del datore di lavoro di un’impresa fornitrice del calcestruzzo, dell’operatore posto al comando dell’attrezzatura utilizzata per il getto del calcestruzzo stesso, dipendente dell’impresa fornitrice, e del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) e di esecuzione (CSE), imputati del delitto di omicidio colposo con cooperazione colposa in violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 113, 589, commi 1 e 2, cod.pen.).
Oggetto del giudizio é stato un infortunio nel quale era rimasto vittima un lavoratore alle dipendenze della ditta esecutrice, verificatosi in un cantiere edile ove era in corso la realizzazione di alcune unità abitative, durante una gettata di calcestruzzo per la realizzazione di una soletta fuori terra, operazione che veniva eseguita mediante l’impiego di un’autobetoniera messa a disposizione dalla ditta fornitrice. Tale apparecchiatura era munita di una pompa estensibile per il getto, telecomandata dal dipendente della ditta fornitrice mentre il lavoratore infortunato, dipendente dell’impresa esecutrice, aveva il compito di indirizzare il getto di calcestruzzo posizionando il terminale del braccio. Durante l’operazione tale ultimo lavoratore, nell’accingersi a procedere a un nuovo getto, veniva investito da una fiammata, causata dal contatto del braccio estensibile con la linea elettrica che correva sopra l’area ove si stavano svolgendo i lavori che ne provocava la morte.
Il reato contestato al datore di lavoro della vittima, il quale assisteva all’operazione, era stato quello di avere tollerato che i lavori si svolgessero in prossimità di una linea elettrica (in violazione dell’art. 11 del D.P.R. n. 164/1956) nonché al coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori quello di essersi limitato a prescrivere quanto disposto dall’art. 11 del D.P.R. n. 164/1956, senza eseguire alcun accertamento su come e con quali mezzi si sarebbero svolti i lavori, al legale rappresentante della ditta fornitrice di non aver redatto il piano operativo di sicurezza (POS), cui era tenuto poiché la sua ditta non si limitava a fornire materiali o attrezzature ma partecipava a varie fasi lavorative con propri mezzi e proprio personale, e infine al dipendente dell’impresa fornitrice di avere eseguito le operazioni in luogo e con modalità rischiose e di non avere segnalato la situazione di pericolo. La Corte di Appello aveva ridotto la pena nei loro confronti, stabilendola per tutti nell’identica misura di otto mesi di reclusione, restando ferma per tutti la sospensione condizionale della pena, sul rilievo che ciascuno di loro aveva contribuito in egual misura al decesso della vittima.
Avverso la sentenza della Corte di Appello i quattro imputati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione avanzando diverse motivazioni. Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice e del lavoratore infortunato ha sostenuto di avere redatto il POS, di essersi attenuto alle prescrizioni di un professionista appositamente incaricato che aveva autorizzato lo svolgimento dei lavori e di essersi rivolto a una ditta fornitrice che aveva provveduto ad operare con propri mezzi e con proprio personale qualificato. Secondo il ricorrente era stato il CSE che aveva omesso di individuare, analizzare e valutare i rischi e che aveva autorizzata la costruzione del solaio in attesa dello spostamento dei cavi elettrici e che inoltre era stata la ditta fornitrice che aveva scelto ove collocare la betonpompa e inoltre che la causa dell’incidente era da addebitare a una manovra maldestra e imprevedibile dell’operatore della ditta fornitrice nell’azionare e movimentare il braccio snodabile.
Il datore di lavoro dell’impresa fornitrice, da parte sua, ha sostenuto di non essere obbligato alla redazione del POS in qualità di fornitore, che tale documento viene redatto in seguito alla redazione del PSC e che il PSC redatto dal CSP non prevedeva, tra l’altro, alcun rischio di elettrocuzione. Come altra motivazione ha sostenuto di non aver ricevuto istruzioni dalla committenza sul come operare in cantiere. Il coordinatore, a sua difesa, ha evidenziato che il PSC conteneva l’indicazione dell’esatta posizione della linea elettrica e della distanza da osservare rispetto ad essa e che spettava poi alla committenza, al direttore dei lavori e all’impresa appaltatrice e non a lui definire le modalità di esecuzione dei lavori e trasferirle nel POS. Come altre motivazioni il coordinatore ha sostenuto di avere impartite specifiche disposizioni con riferimento al rischio poi concretizzatosi (disposizioni tutte disattese dall’impresa esecutrice), e che l’impresa fornitrice non era in alcun modo tenuta a redigere il POS e, quindi, non vi era a suo carico il dovere di esigerlo e di verificarlo.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Con riferimento al ricorso avanzato dal datore di lavoro dell’infortunato la Corte di Cassazione ha ricordato che qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno é per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica é addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione e inoltre che la responsabilità del datore di lavoro non é esclusa dal comportamento di altri destinatari degli obblighi di prevenzione che abbiano a loro volta dato occasione all’evento, quando quest’ultimo risulti comunque riconducibile alla mancanza od insufficienza delle predette misure e si accerti che le stesse, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del verificarsi di quell’evento.
Perciò del tutto infondato è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione il motivo addotto dal datore di lavoro in ordine al fatto che egli avrebbe consentito l’impiego dell’autobetoniera in zona attraversata da linee elettriche in quota sulla base delle rassicurazioni di soggetti qualificati avendo assunto nella sua qualità un appalto di opere edili nell’ambito di un cantiere situato in un’area caratterizzata dalla presenza di cavi elettrici di alta tensione ed essendo comunque nelle condizioni di prevedere che ciò comportava un rischio significativo per la sicurezza e l’incolumità dei lavoratori, specie ove si consideri che in detta area sarebbe stato impiegato un mezzo meccanico munito di braccio, come quello affidato al lavoratore dipendente di altra ditta e presso il quale prestava la sua opera il lavoratore infortunato e cioè un mezzo che, se manovrato in modo non corretto, avrebbe potuto entrare in contatto con i cavi elettrici e cagionare gravi danni alle persone, come in effetti è accaduto. Ciò avrebbe dovuto suggerire al datore di lavoro, secondo la Sez. IV, di adottare cautele adeguate, al fine di impedire il concretizzarsi di detto rischio e che avrebbe potuto indicare anche al momento dell’incidente, atteso che egli era presente.
Né può affermarsi, ha così proseguito la suprema Corte, che la condotta del lavoratore che manovrava il braccio dell’autobetoniera e quella dello stesso infortunato, benché sicuramente negligente, fosse caratterizzata dalla cosiddetta abnormità, ossia da quel comportamento del lavoratore che assume valenza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta eventualmente omissiva del garante in tema di sicurezza e l’evento dannoso verificatosi a suo danno, in quanto tale condizione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della stessa suprema Corte, “si verifica non perché il comportamento del lavoratore qualificato come abnorme sia ‘eccezionale’ ma perché esso risulta eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare”. Dunque nell’occasione non si è ravvisata in alcun modo la descritta condizione di “eccentricità” del comportamento dei lavoratori sia rispetto alle mansioni alle quali essi erano stati assegnati, sia rispetto alla tipologia di rischio affidato alla gestione dell’imputato nella sua posizione datoriale.
Circa il ricorso avanzato dal datore di lavoro dell’impresa fornitrice del calcestruzzo in merito all’addebito dell’omessa redazione del POS la Corte di Cassazione lo ha ritenuto infondato. La società di cui lo stesso era legale rappresentante, non si era limitata alla fornitura di calcestruzzo e dell’autobetoniera, ma aveva messo a disposizione anche due dipendenti e, in particolare, un lavoratore esperto con l’incarico di azionare la macchina e di comandare a distanza il braccio snodabile, un’operazione ben precisa che comportava un contributo tecnico ed esecutivo, da parte di personale della ditta, sicuramente eccedente la fornitura di materiale e attrezzature. A ben vedere, ha precisato ancora la Sez. IV, anche la lettura della circolare del 2007 del Ministero del Lavoro prevede l’obbligo di redazione del POS in capo alle ditte che partecipino in maniera diretta all’esecuzione di lavori di costruzione in muratura rientranti (come sicuramente nel caso in esame) fra quelli elencati nell’allegato 1 dell’allora vigente D. Lgs. 14/8/1996 n. 494. Del resto anche la Corte distrettuale aveva evidenziato in merito che, in base alle Linee guida del coordinamento tecnico interpretative del decreto legislativo n. 494/1996, “erano assoggettate agli obblighi delle imprese esecutrici (fra i quali rientra la redazione del POS) anche quelle che effettuano una fornitura e posa in opera di materiali (fornitura e getto di calcestruzzo con autobetonpompa)”.
Parimenti infondato è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione il ricorso avanzato dal lavoratore che era al comando del braccio dell’autobetoniera. Sul punto, é stato ritenuto sufficiente da parte della stessa Corte di Cassazione richiamare la giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore, per effetto di quanto previsto dall’art. 5, commi primo e secondo, lett. b), del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626, é garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti, quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione di una posizione di maggiore esperienza.
Con riferimento, infine, al ricorso presentato dal coordinatore la suprema Corte di Cassazione lo ha ritenuto anche esso infondato ponendo in evidenza che lo stesso cumulava sulla sua persona sia la posizione di coordinatore in fase di progettazione che in fase di esecuzione con la connessa responsabilità di indicare non solo il rischio elettrico presente in zona, ma anche i modi di evitarlo e, soprattutto, di verificare l’applicazione delle norme antinfortunistiche e di vigilanza sulla esatta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza. Lo stesso, ha così concluso la Corte suprema, ha sostanzialmente omesso di verificare quali fossero le caratteristiche del macchinario destinato ad essere usato in un cantiere caratterizzato dalla presenza di un elettrodotto in quota e se l’impiego di detto macchinario potesse o meno entrare in contatto con i cavi dell’ alta tensione. Il fatto che allo stesso coordinatore spettasse l’alta vigilanza sull’esecuzione dei lavori, se non significa (come riconosciuto dalla stessa Corte di merito) che egli dovesse essere costantemente presente in cantiere, non lo esimeva dai compiti sopra richiamati e specificamente indicati dalle disposizioni di legge. Alla luce di quanto sopra indicato la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di provenienza, limitatamente al punto concernente il beneficio della non menzione della condanna nei riguardi del datore di lavoro dell’infortunato, del datore di lavoro della ditta fornitrice del calcestruzzo e del lavoratore che comandava il braccio dell’attrezzatura rigettando nel resto i ricorsi dagli stessi presentati e ha rigettato altresì il ricorso del coordinatore condannandolo al pagamento delle spese processuali.