L’ABC dei movimenti ripetitivi: le patologie e i fattori di rischio
Abbiamo più volte ricordato che un compito ripetitivo può essere definito come un compito caratterizzato da cicli lavorativi ripetuti, oppure un compito durante il quale si ripetono le stesse azioni lavorative per oltre il 50% del tempo. Ma conosciamo quali sono le conseguenze dei compiti e dei movimenti ripetitivi? E sappiamo mettere in pratica idonee buone prassi anche in termini di progettazione?
Per favorire una conoscenza di base su queste tematiche, pubblichiamo oggi un documento, correlato al Piano Mirato di Prevenzione, dal titolo “ Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato”, messo in atto nel 2016 dall’ ATS Brianza e dai Comitati di Coordinamento Provinciali di Monza Brianza e Lecco.
In “L’ABC dei movimenti ripetitivi. Come prevenire i disturbi degli arti superiori” – a cura di Valter Taranzano, Marco Giraudo, Dorino Moret, Daniela Colombini, Enrico Occhipinti, Olga Menoni, Natale Battevi, Silvia Cairoli, Valter Piccolo – si ricorda che la sigla WMSDs (Work related Muscolo Skeletal Disorders) “raggruppa tutti i disturbi o patologie provocate dallo svolgimento di attività manuali ripetitive in ambito lavorativo” e le WMSDs comprendono, ad esempio, tendiniti (di spalla, mano e avambraccio), epicondiliti, sindrome del tunnel carpale, borsiti, cisti tendinee, …
Il documento si sofferma su alcune patologie specifiche.
Ad esempio la periartrite scapolo-omerale:
– “nella spalla i tendini della cuffia dei rotatori transitano fra due zone ossee prima di inserirsi sull’omero;
– frequenti movimenti del braccio provocano ripetute compressioni sui tendini provocandone l’infiammazione;
– nei casi più gravi si arriva alla formazione di calcificazioni tendinee (m. di Duplay) o a gravi riduzioni della funzionalità della spalla”.
Il sintomo principale è il dolore ai movimenti della spalla.
Si parla poi di epicondilite.
I muscoli dell’epicondilo (parte laterale dell’avambraccio) “si inseriscono in una area ristretta dell’osso. Tale zona tende ad infiammarsi se l’avambraccio esegue ripetuti movimenti a rischio quali: movimenti bruschi, a scatto del gomito con uso di forza (martellare, giocare a tennis etc..) o ripetute prono-supinazioni (avvitare etc..). Il disturbo principale è la presenza di dolore ai movimenti del gomito che tende ad irradiarsi all’avambraccio”.
Altre informazioni riguardano i tendini e le guaine tendinee della mano.
Si indica che “i tendini sono cordoni rigidi che congiungono il muscolo all’osso presso le articolazioni: ogni contrazione muscolare (accorciamento del muscolo) imprime al tendine un movimento che fa muovere l’articolazione corrispondente. In alcuni punti i tendini sono avvolti da guaine, le guaine tendinee che producono un prodotto oleoso”, il liquido sinoviale che consente ai tendini di scorrere l’uno sull’altro.
E non si poteva non parlare di tunnel carpale.
Si segnala che il tunnel carpale è “posizionato a livello del polso. È un canale rigido delimitato in basso dalle ossa del carpo e in alto da un legamento. Al suo interno passano nervi, vasi sanguigni, tendini per i muscoli flessori delle dita.
E nella sindrome del tunnel carpale “l’iperuso dei tendini nel tunnel carpale ne provoca il rigonfiamento (edema) con aumento della pressione all’interno del tunnel stesso: ciò conduce alla compressione del nervo mediano e alla comparsa della sindrome”.
In particolare, riguardo al livello della pressione all’interno del tunnel, se “in un soggetto senza patologie del polso la pressione all’interno del tunnel carpale è di circa 2.5 mm Hg quando il polso è mantenuto diritto, la pressione supera i 30 mm Hg in un soggetto con la sindrome del tunnel carpale”.
E “mantenendo il polso in posizione di massima flessione o estensione (90°) la pressione supera i 30 mm Hg aumentando il rischio di comparsa della sindrome”.
In ogni caso i disturbi principali che caratterizzano i WMSDs sono i seguenti:
– “riduzione della funzione motoria negli stati più avanzati (mancanza di forza, caduta di piccoli oggetti dalle mani, riduzione del movimento articolare, ecc);
– dolori articolari (dita, polsi, gomiti, spalle) durante i movimenti nelle fasi iniziali, poi anche a riposo;
– persistenti formicolii agli arti superiori che compaiono frequentemente durante la notte, accompagnati anche da sensazioni di freddo o disturbi della sensibilità”.
Tuttavia se i posti di lavoro sono ben progettati e le attività manuali ben eseguite, non si generano WMSDs.
Inoltre riguardo all’esposizione al rischio si segnala che “i principali fattori di rischio lavorativo che causano le patologie degli arti superiori sono:
– ripetitività, movimenti sempre uguali a se stessi ripetuti a lungo;
– frequenza, alta frequenza di gesti in ogni minuto di lavoro;
– forza, uso di forza elevata con gli arti superiori;
– postura, posizioni scorrette del polso, del gomito, della spalla o movimenti articolari estremi;
– periodi di recupero, tempi di recupero insufficienti (pause o mancanze di rotazioni su lavori più tranquilli);
– fattori complementari, maneggiare oggetti molto freddi, vibrazioni (gli avvitatori di qualsiasi tipo sono strumenti vibranti), compressioni sulle mani durante l’uso d attrezzi, uso di guanti inadeguati, frequente uso di mazza e/o martello per dare colpi, …”.
E questi fattori possono essere “presenti singolarmente o nelle più svariate combinazioni e/o a vari livelli di intensità”.
Il documento presenta poi alcuni esempi di posti di lavoro, con utili suggerimenti per la riprogettazione.
Ad esempio riguardo allo spazio per gli arti inferiori si indica che il posto di lavoro seduto “deve consentire l’alloggiamento degli arti inferiori al di sotto del piano operativo. Senza un adeguato spazio, arti inferiori e schiena sono costretti ad assumere posizioni incongrue”. E uno spazio gambe adeguato “deve essere profondo circa 60 cm al livello delle ginocchia e 80 cm al livello delle caviglie. Quest’ultima misura serve per poter allungare al disotto del piano di lavoro le gambe”.
Sono proposte infine alcune indicazioni e immagini relative alle aree operative minime e aree operative massime.
Infatti gli oggetti in lavorazione “devono essere racchiusi entro:
A – “operativa massima (42,2 cm) se di uso saltuario;
B – area operativa minima (19 – 20 cm) se di uso frequente”.