Una valutazione dei rischi che tenga conto delle differenze di genere
Come si può sviluppare una valutazione dei rischi lavorativi che tenga conto anche di caratteristiche soggettive dei lavoratori come genere, età, provenienza? Ed è possibile, una volta rilevati rischi e nocività, organizzare il lavoro adattandolo alla persona?
È con queste due importanti domande che il 22 marzo scorso è stato organizzato presso il “ Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita” di Milano il seminario “ Valutazione dei rischi e caratteristiche soggettive” in cui sono stati invitati alcuni relatori a presentare alcune possibili e concrete buone prassi.
Ci soffermiamo oggi sull’intervento “Valutazione del rischio tenendo conto del genere” a cura del Gruppo Donne Salute e Lavoro CGIL-CISL-UIL. Un intervento che riporta alcune indicazioni normative che giustificano la necessità di valutare i rischi nei luoghi di lavoro tenendo conto del genere. Ad esempio:
– “Strategia comunitaria per la SSL (2002) si introduce il tema della differenza di genere;
– Piano strategico comunitario 2007-2012 conferma … ‘per migliorare l’attitudine occupazionale delle donne e degli uomini e la qualità della vita professionale, occorre fare progressi nel settore della parità tra i sessi in quanto le disparità, sia all’interno che all’esterno del mondo del lavoro, possono avere conseguenze sulla sicurezza e la salute delle donne sul luogo di lavoro …’”.
Senza dimenticare la normativa italiana che dal D.lgs. 626/94 (“nel prescrivere misure atte a tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro ne estendeva il campo di applicazione a ‘tutti i lavoratori’ rimanendo indifferente rispetto al genere”) si evolve nel D.lgs. 81/2008 che “seguendo le indicazioni dell’UE, interpreta la parità di trattamento”. E che in diversi punti fa esplicito riferimento, ad esempio nell’articolo 28 (Oggetto della valutazione dei rischi), alle ‘differenze di genere’.
In ogni caso l’intervento sottolinea che “c’è una questione di genere nella salute e sicurezza sul lavoro:
– uomini e donne possono essere esposti a rischi diversi;
– possono rispondere in maniera diversa alla stessa esposizione a rischio;
– la diversità di ruoli sociali e di carichi conseguenti possono avere, più o meno indirettamente, una influenza sulla esposizione a rischi lavorativi”.
Si indica anche che la scienza medica “storicamente non è stata molto sensibile al lavoro femminile … è del 1993 il primo libro di testo in medicina del lavoro con un capitolo specifico sui rischi del lavoro femminile”.
Bisogna poi chiarire le differenze di sesso e di genere:
– sesso: “differenze che la biologia determina tra uomini e donne e che sono universali e immutabili”;
– genere: “differenze sociali tra donne e uomini, che sono apprese, possono cambiare nel tempo e presentano notevoli variazioni tra differenti culture”.
E la relazione segnala che occorre “un metodo che riesca a cogliere le differenze biologiche (sessuali) e socio-ambientali (di genere) nei diversi aspetti della valutazione”.
Sono riportati alcuni esempi di determinanti biologici:
– “la superficie cutanea del corpo maschile è più estesa di quella del corpo femminile;
– la statura è generalmente inferiore nelle donne;
– il volume polmonare degli uomini è maggiore di quello delle donne;
– esistono numerose differenze nell’assorbimento, metabolismo ed eliminazione degli agenti chimici;
– rapporto tra esposizione a rumore di bassa intensità e danni extra-uditivi localizzati a carico
dell’apparato riproduttivo femminile;
– la vulnerabilità verso i rischi cambia in modo significativo con l’età ed in modo differente per i
due sessi”.
Dopo aver accennato agli stereotipi riguardo ai “determinanti di genere”, sono riportate anche alcune differenze di genere, alcuni “fattori che possono incidere sul livello di rischio, indipendentemente dal grado di esposizione, che può essere uguale tra maschi e femmine”:
– “sono le donne che principalmente si occupano della cura della famiglia;
– la maggior parte del lavoro domestico viene svolto dalle donne;
– le donne guadagnano in genere di meno degli uomini … a parità di lavoro;
– le donne si controllano di più e sono più attive nella prevenzione rispetto agli uomini;
– le donne investono di più in cultura rispetto agli uomini”.
Partendo da questi presupposti e indicazioni, un approccio non neutrale ma attento alla soggettività – “con la partecipazione dei RLS e dei lavoratori ed il coinvolgimento del medico competente” – permetterà dunque di “far emergere e considerare percezioni, vissuti e segni di sofferenza rispetto alle diversità di sesso e di genere, spesso non ricostruibili in modo diverso”.
L’intervento riporta in conclusione alcune possibili azioni che si possono mettere in atto nei luoghi di lavoro:
– “avviare monitoraggio e la raccolta dati e informazioni sulla salute e sicurezza in ottica di genere;
– coinvolgere più donne nella consultazione nelle decisioni in materia di salute e sicurezza;
– tenere conto delle peculiarità individuali a partire dal genere di appartenenza;
– attivare processi di informazione e comunicazione per garantire coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici;
– individuare le lacune negli accordi di lavoro, politiche e procedure che con scelte di tipo apparentemente ‘neutro’ possono produrre effetti indesiderati di non equità tra donne e uomini (es. orari);
– migliorare le informazioni raccolte sulle esperienze negative di lavoro di uomini e donne”.
Rimandando ad una lettura integrale delle slide relative all’intervento, segnaliamo che la relazione riporta anche alcune “esperienze sul campo” relative ad un’indagine del Gruppo donne-salute-lavoro di CGIL CISL UIL.
Un’indagine che parte dall’idea di fondo di dare voce alla sensibilità di genere e raccogliere il contributo delle lavoratrici per indicare cosa serve nella valutazione dei rischi perché siano rappresentate e tutelate le differenze.